mercoledì 27 febbraio 2008

Comunicato di una compagna di Genova sulla difesa della 194

Sabato 23 febbraio si è svolta a Genova, come in tutta Italia, una manifestazione in difesa della legge 194 gravemente minacciata da istituzioni corrose dalla chiesa cattolica.

In piazza circa 3000 persone, forte presenza maschile ed età media ben al di sopra dei 40.
Quasi del tutto tristemente assenti, quindi, i giovani.
Gli attacchi recenti alla L 194 dovrebbero far riflettere e provocare la reazione da parte di tutte le donne e di tutti gli uomini con capacità di pensiero.

A Genova la situazione è già critica: dei 3 maggiori ospedali cittadini, uno non pratica l’aborto e nei restanti due è praticato da un solo medico, costringendo così le donne a penosi pellegrinaggi alla ricerca di un medico che non le reputi criminali indegne di considerazione.

Noi donne DOBBIAMO essere libere di decidere del nostro corpo, non si può permettere a NESSUNO di arrogarsi il diritto di scegliere per noi, tanto meno alla chiesa cattolica che da secoli considera il corpo femminile quanto un mero contenitore.

Dal 78, anno in cui l’aborto è stato legalizzato, la mortalità per interruzione di gravidanza, in Italia, è scomparsa e sono drasticamente diminuiti anche gli interventi.

Come si può accettare questa ossessione per l’embrione da parte di ipocriti che nulla obiettano su guerre che vedono tra le prime vittime proprio i bambini e le donne.
Che si pronuncino contro la violenza, quella vera che si esprime sotto varie forme, violenza di stato sui manifestanti, violenza sulle donne, violenza sulla popolazione più povera costretta a sopravvivere con pensioni misere e senza alcun sostegno.

Questa è la vera violenza, non quella che noi donne siamo accusate di rivolgere ad un embrione quando in realtà siamo le prime a soffrire per una scelta tanto dolorosa!

Un grazie ai compagni uomini che ci accompagnano nel percorso e che non osano pronunciarsi sui nostri sentimenti e sulla nostra libertà, l’inizio di una dura lotta a tutti coloro che proveranno a toglierci la libertà sui nostri corpi conquistata dopo anni di battaglie!

Antonella

domenica 24 febbraio 2008

25-27 febbraio 2008: metalmeccanici al voto su un contratto che fu

L'ipotesi d'accordo del CCNL dei metalmeccanici va valutato sia in sede tecnica, sia contestualizzando la trattativa e inserendola nella crisi complessiva della contrattazione in Italia come in Europa.

L'ipotesi, che presenta luci ed ombre, viene sottoposta in questi giorni alla valutazione delle assemblee delle lavoratrici/tori all'interno delle quali va salvaguardato il dissenso e le prese di posizioni di gruppi di lavoratori contrari, che si collegano con quanto espresso dalla categoria nel voto contrario al protocollo sul welfare del 23 luglio 2007.
I contenuti di quel protocollo hanno, del resto, pesato parecchio nella trattativa.

L'FdCA ritiene vada salvaguardata l'autonomia delle lavoratrici/tori che si esprimerà attraverso il referendum, considerando inoltre che i metalmeccanici sono gli unici a validare piattaforme e ipotesi d'accordo attraverso il voto vincolante per le organizzazioni sindacali.

Il tentativo di non fare il contratto dei metalmeccanici da parte di Federmeccanica e di costringere la FIOM all'angolo, ridimensionandola, non è passato. Questo scontro ha comunque lasciato il segno. Il risultato va, quindi, inserito in una logica di resistenza.

Riteniamo che questo sia l'ultimo contratto con contenuti rivendicativi/conflittuali e che il ciclo avviato dalla FIOM undici anni fa si sia concluso. Spetterà a questa organizzazione avviare la discussione assieme ad altri soggetti in Italia e in Europa sulle prospettive del conflitto e del sindacalismo rivendicativo/conflittuale.

Riconfermiamo perciò l'impegno dei comunisti anarchici negli ambiti di discussione e decisionali del sindacalismo di base, nella FIOM, nella Rete 28 Aprile, in una fase sindacale complessa ed aggravata dagli incontri tra Cgil, Cisl, Uil e Confindustria sulla "riforma della struttura della contrattazione".

Nessuna lavoratrice/ore è stato informata/o sui contenuti di questi incontri. Il documento sindacale assume l'impostazione di Confindustria: riduzione del ruolo del CCNL a recupero dell'inflazione "realisticamente prevedibile" ogni 3 anni (non si possono aumentare i salari in sede nazionale); contrattazione di secondo livello aziendale, territoriale, che ha come obiettivo l'aziendalismo (qui i soldi si prendono solo legati alla produttività, alla redditività dell'impresa, ecc.).

Il modello è quello cosiddetto "americano" con tutto il corollario di welfare aziendale. Verrebbe dato il via definitivo al sindacato di mercato con la scomparsa dell'autonomia del "lavoro"e l'assunzione della logica d'impresa. In sostanza cancellazione del conflitto. Il tutto si lega alla ristrutturazione in corso nel mondo della politica istituzionale.

Occorre dare battaglia per respingere questa deriva.
E per riuscire a mantenere vivo un sindacato rivendicativo/conflittuale occorre rimettere al centro le condizioni di lavoro.
Occorre favorire la ricostruzione di una visione autonoma dei lavoratori/trici organizzati che confligga con le posizioni imposte da un dominio che si presenta sempre più invasivo sulle condizioni esterne ed interne ai luoghi di lavoro.

Occorre garantire la piena autonomia decisionale delle assemblee operaie di fabbrica, occorre garantire la piena agibilità a tutte le espressioni di dissenso, di critica, di organizzazione dal basso perché nelle fabbriche come in tutti i luoghi di lavoro, esse sono la base per affrontare le minacce autoritarie che incombono sul movimento dei lavoratori, sulla sua autonomia, sulla libertà di lotta e di organizzazione sindacale.

Commissione Sindacale
FEDERAZIONE DEI COMUNISTI ANARCHICI
Cremona, 17 febbraio 2007

giovedì 21 febbraio 2008

Per Valerio:adesione al corteo antifascista del 22 febbraio

Il 22 Febbraio del 1980 veniva ucciso a Roma, per mano dei fascisti dei NAR, il compagno Valerio Verbano.

La morte di Valerio è l'ennesimo esempio di connivenza tra Stato e fascismo, è l'ennesimo esempio di come lo Stato abbia sempre protetto le organizzazioni e gli esponenti più importanti del fascismo e di come si sia sempre servito di questi esponenti per occultare queste stesse connivenze.

Se ritorniamo a quegli anni è per ricordare che la colpa di Valerio fu quella di condurre, da antifascista militante, un inchiesta sull’attivismo fascista, con particolare attenzione ai NAR e a Terza Posizione.

Valerio, da meticoloso militante, alla fine degli anni '70, compila dei Dossier, con informazioni sui fascisti romani, in specialmodo su quelli di Valmelaina, e le connivenze tra questi, malavita romana e lo Stato.

Il 20 aprile del 1979 Valerio viene arrestato con l’accusa di fabbricazione di materiale incendiario: la perquisizione che ne segue, nella casa dove viveva con i genitori, porta al sequestro dei dossier sui fascisti da parte dell'autorità giudiziaria.

E' a questo punto che scatta la solidarietà dello Stato nei confronti dei suoi servitori neri.
Non si sa perchè, ma questi documenti spariscono negli ambigui anfratti dei palazzi del potere e dopo meno di un anno Valerio viene ammazzato.

Aveva osato sfidare lo Stato nei meandri più infami del suo potere; era necessario che pagasse: la sua morte doveva essere da esempio perchè nessuno più osasse indagare sulle naturali connivenze tra Stato e fascismo.

Ma la lotta contro il fascismo non si può arrestare, perchè oggi la destra fascista, anche se con una faccia "ripulita", presentandosi ipocritamente come garante della "sicurezza", conserva sempre il suo ruolo di gendarme violento del potere più bieco e autoritario dello Stato.

No è solo per ricordare Valerio e la sua militanza antifascista che
venerdi 22 febbraio gli antifascisti romani si ritroveranno a via Monte Bianco, ma anche per dimostrare che la solidarietà e l'unità delle forze antifasciste è quanto mai necessaria per opporsi e respingere una presenza neofascista talmente aggressiva da porsi ormai come una vera e propria emergenza, e, questo sì, rappresenta il vero pericolo alla sicurezza delle persone nelle città.

Federazione dei Comunisti Anarchici - Sez. "C. Cafiero di Roma"

venerdì 15 febbraio 2008

COMMISSIONE SINDACALE FdCA

IL 17 FEBBRAIO A CREMONA ORE 10
PRESSO I LOCALI DEL C.S. KAVARNA E' CONVOCATO

L'ATTIVO SINDACALE della FdCA

odg:

1- CONTRATTO METALMECCANICI, REFERENDUM
2- SITUAZIONE SINDACALE GENERALE
3- ATTIVITA' DELLA COMMISSIONE SINDACALE

La riunione è aperta al contributo di esterni invitati dalle sezioni

mercoledì 13 febbraio 2008

Il brevetto fascista delle foibe

FOIBE
Così iniziò la stagione di sangue già pubblicato sul forum ANPI di Rete Civica.Le stragi istriane vanno inserite nel contesto storico della guerra fascista e nazista alle popolazioni slave. Contro ogni strumentalizzazione, ma anche contro ogni rimozione «Si ammazza troppo poco», e «Non dente per dente, ma testa per dente», raccomandavano nel 1942 i generali italiani Marco Robotti e Mario Roatta. Furono 200.000 i civili «ribelli» falciati dai plotoni di esecuzione italiani in Slovenia, «Provincia del Carnaro», Dalmazia, Bocche di Cattaro e Montenegro

da Il Manifesto di venerdì 4 febbraio 2005

GIACOMO SCOTTI
Per una giusta comprensione del fenomeno delle foibe istriane - ma comprensione non significa affatto giustificazione di quei crimini - è assolutamente necessario inserire la questione nel contesto storico in cui si verificò e nel quadro più ampio del periodo tra la fine della prima e lo svolgimento della seconda guerra mondiale.
Un periodo che fu particolarmente tragico per una larga parte della popolazione istriana venutasi a trovare inserita nel territorio di frontiera di un'Italia asservita al regime fascista e perciò negata a governare con giustizia territori plurietnici, plurilingui e multiculturali, spinta a realizzare un preciso programma di oppressione e snazionalizzazione dei sudditi cosiddetti allogeni e alloglotti.
Ancor prima della firma del Trattato di Rapallo del 1920 che assegnò definitivamente l'Istria all'Italia, quando la regione era soggetta al regime di occupazione militare, la popolazione dell'Istria si trovò di fronte allo squadrismo in camicia nera, importato da Trieste, che si manifestò con particolare aggressività e ferocia.
Gli stessi storici fascisti, tra i quali l'istriano G.A. Chiurco, vantandosi delle gesta degli squadristi e glorificandole nelle loro opere, hanno abbondantemente documentato i misfatti compiuti - dagli assassinii di antifascisti italiani quali Pietro Benussi a Dignano, Antonio Ive a Rovigno, Francesco Papo a Buie, Luigi Scalier a Pola ed altri - alla distruzione delle Camere del lavoro ed all'incendio delle Case del popolo, alle sanguinose spedizioni nei villaggi croati e sloveni della penisola, ecc. Questi misfatti continuarono sotto altra forma dopo la creazione del regime: furono distrutti e/o aboliti tutti gli enti e sodalizi culturali, sociali e sportivi della popolazione slovena e croata; sparì ogni segno esteriore della presenza dei croati e sloveni, vennero abolite le loro scuole di ogni grado, cessarono di uscire i loro giornali, i libri scritti nelle loro lingue furono considerati materiale sovversivo; con un decreto del 1927 furono forzosamente italianizzati i cognomi di famiglia; migliaia di persone finirono al confino.
Nelle chiese le messe poterono essere celebrate soltanto in italiano, le lingue croata e slovena dovettero sparire perfino dalle lapidi sepolcrali, furono cacciate dai tribunali e dagli altri uffici, bandite dalla vita quotidiana. Alcune centinaia di democratici italiani, socialisti, comunisti e cattolici che lottarono per la difesa dei più elementari diritti delle minoranze subirono attentati, arresti, processi e lunghi anni di carcere inflitti dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato.

La sostituzione delle popolazioni allogene
Mi è capitato per le mani un opuscolo del ministro dei Lavori Pubblici dell'era fascista Giuseppe Cobolli Gigli. Figlio del maestro elementare sloveno Nikolaus Combol, classe 1863, italianizzò spontaneamente il cognome nel 1928 anche perchè sin dal 1919 si era dato uno pseudonimo patriottico, Giulio Italico.
Divenuto poi un gerarca, prese un secondo cognome, Gigli, dandosi un tocco di nobiltà. Questo signore, fu autore di opuscoletti altamente razzisti, fra i quali Il fascismo e gli allogeni, (da «Gerarchia», settembre 1927) in cui sosteneva la necessità della pulizia etnica, attraverso la sostituzione delle popolazioni «allogene» autoctone con coloni italiani provenienti da altre provincie del Regno. Tra l'altro volle tramandare ai posteri una canzoncina in voga fra gli squadristi di Pisino.
Il paese sorge sul bordo di una voragine che - scrisse il Cobol-Cobolli - «la musa istriana ha chiamato Foiba, degno posto di sepoltura per chi, nella provincia, minaccia con audaci pretese, le caratteristiche nazionali dell'Istria». Quindi chi, fra i croati, aveva la pretesa, per esempio, di parlare nella lingua materna, correva il pericolo di trovar sepoltura nella Foiba. La canzoncina di Sua Eccelenza (testo dialettale e traduzione italiana a fronte) diceva: A Pola xe l'Arena/ la Foiba xe a Pisin:/ che i buta zo in quel fondo/ chi ga certo morbin. (A Pola c'è l'Arena,/ a Pisino c'è la Foiba:/ in quell'abisso vien gettato/ chi ha certi pruriti).
Dal che si vede che il brevetto degli infoibamenti spetta ai fascisti e risale agli inizi degli anni Venti del XX secolo.
Putroppo essi non rimasero allo stato di progetto e di canzoncine. Riportiamo qui, dal quotidiano triestino Il Piccolo del 5 novembre 2001, la testimonianza di Raffaello Camerini, ebreo, classe 1924.«Nel luglio del 1940, ottenuta la licenza scientifica, dopo neanche un mese, sono stato chiamato al lavoro "coatto", in quanto ebreo, e sono stato destinato alle cave di bauxite, la cui sede principale era a S. Domenica d'Albona.
Quello che ho veduto in quel periodo, sino al 1941 - poi sono stato trasferito a Verteneglio - ha dell'incredibile.
La crudeltà dei fascisti italiani contro chi parlava il croato, invece che l'italiano, o chi si opponeva a cambiare il proprio cognome croato o sloveno, con altro italiano, era tale che di notte prendevano di forza dalle loro abitazioni gli uomini, giovani e vecchi, e con sistemi incredibili li trascinavano sino a Vignes, Chersano e altre località limitrofe, ove c'erano delle foibe, e lì, dopo un colpo di pistola alla nuca, li gettavano nel baratro.
Quando queste cavità erano riempite, ho veduto diversi camion, di giorno e di sera, con del calcestruzzo prelevato da un deposito di materiali da costruzione sito alla base di Albona, che si dirigevano verso quei siti e dopo poco tempo ritornavano vuoti.
Allora, io abitavo in una casa sita nella piazza di Santa Domenica d'Albona, adiacente alla chiesa, e attraverso le tapparelle della finestra della stanza ho veduto più volte, di notte, quelle scene che non dimenticherò finchè vivrò (...).
Mi chiedo sempre, pur dopo 60 anni, come un uomo può avere tanta crudeltà nel proprio animo.
Sono stati gli italiani, fascisti, i primi che hanno scoperto le foibe ove far sparire i loro avversari. Logicamente, i partigiani di Tito, successivamente, si sono vendicati usando lo stesso sistema.
E che dire dei fascisti italiani che il 26 luglio 1943 hanno fatto dirottare la corriera di linea - che da Trieste era diretta a Pisino e Pola - in un burrone con tutto il carico di passeggeri, con esito letale per tutti. (. . .) Ho lavorato fra Santa Domenica d'Albona, Cherso, Verteneglio sino all'agosto del `43 e mai ho veduto un litigio fra sloveni, croati e italiani (quelli non fascisti). L'accordo e l'amicizia era grande e l'aiuto, in quel difficile periodo, era reciproco. Un tanto per la verità, che io posso testimoniare».

60mila slavi in fuga dall'Istria
Per gli slavi il risultato del ventennio fascista e del triennio bellico 1940-43 fu la fuga dall'Istria di circa 60.000 persone. Purtroppo a rafforzare il nazionalismo anti-italiano fu ancora una volta il fascismo mussoliniano che nella seconda guerra mondiale portò l'Italia ad aggredire i popoli jugoslavi.
Quell'aggressione tra il 6 aprile 1941 e l'inizio di settembre 1943 fu caratterizzata dalle brutali annessioni di larghe fette di Croazia e Slovenia e da una lunga serie di crimini di guerra. Per ordine dello stesso Mussolini e di alcuni generali si giunse alle scelte più draconiane dei comandi militari italiani. Ne derivarono «rapine, uccisioni, ogni sorta di violenza perpetrata a danno delle popolazioni».
Nelle regioni della Croazia annesse all'Italia dopo il 6 aprile `41 si ripetè quanto avvenuto in Istria dopo la Grande Guerra: si ricorse ad ogni mezzo per la snazionalizzazione e l'assimilazione,provocando inevitabilmente l'ostilità delle popolazioni.
Nella toponomastica, per cominciare da questo aspetto non cruento dell'occupazione, fu recitata una vera e propria tragicommedia, avendo come regista il prefetto della Provincia del Carnaro e dei Territori Aggregati del Fiumano e della Kupa, Temistocle Testa. Con suo decreto dell'8 settembre 1941 fu ordinato di «adottare senza indugio i nomi italiani di tutti quei luoghi (comuni, frazioni, località) che erano da secoli italiani e che la ventennale dominazione jugoslava ha trasformato in denominazioni straniere».
Così località del profondo territorio interno lungo il fiume Kupa e nel Gorski Kotar divennero: Belica= Riobianco, Bogovic = Bogovi, BruÜic = Brissi, Buzdohanj = Buso, Crni Lug = Bosconero, Cabar = Concanera, Glavani = Testani, Jelenje = Cervi, Kacjak = Serpaio, Koziji Vrh= Monntecarpino, Medvedek = Orsano, Orehovica = Nocera Inferiore, Padovo = Padova, Pecine = Grottamare e via traducendo o inventando. Trinajstici, presso Castua, divenne Sassarino in onore della divisione «Sassari» che vi teneva un reparto.
Ma ben presto, dopo aver battezzato città, comuni, villaggi e frazioni, si passò a distruggere col fuoco quelli, fra di essi, che non tolleravano l'italianizzazione né l'occupazione. In data 30 maggio 1942 il Prefetto Testa, rese noto con pubblici manifesti di aver fatto eseguire l'internamento nei campi di concentramento in Italia di un numero indeterminato di famiglie di Jelenje dalle cui abitazioni si erano allontanati giovani maggiorenni senza informarne le autorità. Ma non si limitò alle deportazioni. Con un manifesto si rendeva noto:«Sono stase rase al suolo le loro case, confiscati i beni e fucilati 20 componenti di dette famiglie estratti a sorte, per rappresaglia».
La rappresaglia continuò.
Il 4 giugno gli uomini del II Battaglione Squadristi di Fiume incendiarono le case dei villaggi: Bittigne di Sotto (Spodnje Bitinje), Bittigne di Sopra (Gornje Bitnje), Monte Chilovi (Kilovce), Rattecevo in Monte (Ratecevo). A Kilovce furono fucilate 24 persone.Non c'è villaggio sul territorio di quelli che furono chiamati Territori Aggregati e/o Annessi a contatto con l'Istria e la regione del Quarnero, che non abbia avuto case bruciate o sia stato interamente raso al suolo; non ci fu una sola famiglia che non abbia avuto uno o più membri deportati oppure fucilati.

Centomila nei campi di concetramento
Ha scritto lo storiografo Carlo Spartaco Capogreco: «In Jugoslavia il soldato italiano, oltre che quello del combattente ha svolto anche il ruolo dell'aguzzino, non di rado facendo ricorso a metodi tipicamente nazisti quali l'incendio dei villaggi, le fucilazioni di ostaggi, le deportazioni in massa dei civili e il loro internamento nei campi di concentramento».In particolare evidenzia che il numero dei condannati e confinati «slavi» della Venezia Giulia e dell'Istria fu particolarmente elevato, sicchè dal giugno 1940 al settembre 1943 la maggioranza degli «ospiti» dei campi di concentramento italiani era costituita da civili sloveni e croati. Il numero totale dei civili internati dall'Italia fascista superò di diverse volte quello complessivamente raggiunto dai detenuti e confinati politici antifascisti in tutti i 17 anni durante i quali rimasero in vigore le «leggi eccezionali»; più di 800 italiani, fra alti gerarchi civili e comandanti militari, furono denunciati per crimini di guerra commessi durante la seconda guerra mondiale alla War Crimes Commission dell'Organizzazione delle Nazioni Unite.
I campi di concentramento nei quali furono rinchiusi più di centomila civili croati, sloveni, montenegrini ed erzegovesi erano disseminati dall'Albania all'Italia meridionale, centrale e settentrionale, dall'isola adriatica di Arbe (Rab) fino a Gonars e Visco nel Friuli, a Chiesanuova e Monigo nel Veneto.Non si contano, poi, i campi «di transito e internamento» che funzionavano lungo tutta la costa dalmata, sulle isole di Ugliano (Ugljan) e Melada (Molat). Quest' ultimo fu definito da monsignor Girolamo Mileta, vescovo di Sebenico, «un sepolcro di viventi». In quei lager italiani morirono 11.606 sloveni e croati. Nel solo lager di Arbe ne morirono 2.600 circa, fra cui moltissimi vecchi e bambini per denutrizione, stenti, maltrattamenti e malattie.
Il 15 dicembre 1942 l'Alto Commissario per la Provincia di Lubiana, Emilio Grazioli, trasmise al Comando dell'XI Corpo d'Armata il rapporto di un medico in visita al campo di Arbe dove gli internati «presentavano nell'assoluta totalità i segni più gravi dell'inanizione da fame».
Sotto quel rapporto il generale Gastone Gambara scrisse di proprio pugno: «Logico ed opportuno che campo di concentramento non significhi campo d'ingrassamento. Individuo malato = individuo che sta tranquillo». Sempre nel 1942, il 4 agosto, il generale Ruggero inviò un fonogramma al Comando dell'XI Corpo in cui si parlava di «briganti comunisti passati per le armi» e «sospetti di favoreggiamento» arrestati. In una nota scritta a mano il generale Mario Robotti impose: «Chiarire bene il trattamento dei sospetti (. . .). Cosa dicono le norme 4c e quelle successive? Conclusione: si ammazza troppo poco!». Il generale Mario Roatta, comandante della II Armata italiana in Slovenia e Croazia nel marzo del 1942 aveva diramato una Circolare 3C nella quale si legge: «Il trattamento da fare ai ribelli non deve essere sintetizzato dalla formula dente per dente ma bensì da testa per dente».
Furono circa 200.000 i civili «ribelli» falciati dai plotoni di esecuzione italiani, dalla Slovenia alla «Provincia del Carnaro», dalla Dalmazia fino alle Bocche di Cattaro e Montenegro senza aver subito alcun processo, ma in seguito a semplici ordini di generali dell'esercito, di governatori o di federali e commissari fascisti. Potremmo citare altri documenti, centinaia, che ci mostrano il volto feroce dell'Italia monarchica e fascista in Istria e nei territori jugoslavi annessi o occupati nella seconda guerra mondiale. Gli stupri, i saccheggi e gli incendi di villaggi si ripetevano in ogni azione di rastrellamento. Mi limiterò, per l'Istria ad alcuni episodi che precedettero di pochi mesi i fatti del settembre 1943.
Il 6 giugno 1942 furono deportate nei campi di internamento in Italia 34 famiglie per un totale di 131 persone di Castua, Marcegli, Rubessi, San Matteo e Spincici; i loro beni, compreso il bestiame, furono confiscati o abbandonati al saccheggio delle truppe, le loro case incendiate, dodici persone vennero fucilate.

I deportati in Italia, i villaggi rasi al suolo
Ancora più terribile fu la sorte toccata agli abitanti della zona di Grobnico, a nord di Fiume. Per ordine del prefetto Temistocle Testa, reparti di camicie nere e di truppe regolari, irruppero nel villaggio di Podhum all'alba del 13 luglio. Rastrellata l'intera popolazione, questa fu condotta in una cava di pietra presso il campo di aviazione di Grobnico, mentre il villaggio veniva prima saccheggiato e poi incendiato. Oltre mille capi di bestiame grosso e 1300 di bestiame minuto furono portati via, 889 persone rispettivamente 185 famiglie finirono nei campi di internamento italiani: più di cento maschi furono fucilati nella cava: il più anziano aveva 64 anni, il più giovane 13 anni appena.
Con un telegramma spedito a Roma il 13 luglio, Testa informò: «Ierisera tutto l'abitato di Pothum nessuna casa esclusa est raso al suolo et conniventi et partecipi bande ribelli nel numero 108 sono stati passati per le armi et con cinismo si sono presentati davanti ai reparti militari dell'armata operanti nella zona, reparti che solo ultimi dieci giorni avevano avuto sedici soldati uccisi dai ribelli di Pothum stop Il resto della popolazione e le donne e bambini sono stati internati stop».
Nel solo Comune di Castua subirono spedizioni punitive diciassette villaggi; furono passate per le armi 59 persone, altre 2311 furono deportate e precisamente 842 uomini, 904 donne e 565 bambini; furono incendiate 503 case e 237 stalle. Sempre nella zona di Fiume, il 3 maggio 1943, reparti di Camicie Nere e di fanteria rastrellarono il villaggio di Kukuljani e alcune sue frazioni, portarono via tutto il bestiame, saccheggiarono le case, deportarono la popolazione e quindi appiccarono il fuoco alle abitazioni, alle stalle e agli altri edifici "covi di ribelli". Nei campi di internamento finirono 273 abitanti di Kukuljani e 200 di Zoretici.Queste sanguinose persecuzioni indiscriminate contro la popolazione civile slava furono denunciate anche da eminenti personalità politiche italiane di Trieste, tra cui i firmatari di un Promemoria presentato il 2 settembre 1943 da un "Fronte nazionale antifascista" al Prefetto Giuseppe Cocuzza. Era passato un mese e mezzo dalla caduta del regime fascista. Nel documento, si fa una denuncia drammaticamente circostanziata delle vessazioni, arresti, devastazioni ed esecuzioni sommarie «operate con grande discrezionalità da bande di squadristi che avevano goduto per troppo tempo della mano libera e della compiacenza di certe autorità». Nell'iniziativa era evidente, oltretutto, un «diffuso senso di paura per una vendetta» che avrebbe potuto abbattersi indiscriminatamente sugli Italiani dell'Istria come reazione «alla tracotanza del Regime e dei suoi uomini più violenti che in Istria e nella Venezia Giulia avevano usato strumenti e atteggiamenti fortemente coercitivi nei riguardi delle popolazioni slave».

martedì 5 febbraio 2008

UN FASCISTA MORTO RIMANE PUR SEMPRE UN FASCISTA

Il 10 febbraio lo Stato italiano celebra il "Giorno del Ricordo "in memoria della tragedia degli italiani di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra" (legge 30, marzo 2004, n.92).

Il mito delle foibe è stato creato ad arte per mettere sullo stesso piano la violenza fascista e quella antifascista. Lo Stato italiano, con la complicità dell'estrema destra, utilizza il revisionismo fascista per creare dei martiri in modo da poter nascondere i propri crimini. Negando la propria responsabilità nell'olocausto, nel massacro di interi paesi, in stupri e torture in Italia e nei nostri territori occupati, cerca di far apparire le reazioni armate contro i fascisti come violenze ingiustificate commesse da spietati criminali e banditi. Secondo questa logica le azioni contro gli squadristi, i collaborazionisti e chi, italiano, aveva approfittato dell'occupazione dell'Istria per i suoi interessi, diventa un generico odio anti-italiano e la foiba diventa il simbolo di uno sterminio etnico da parte della popolazione slava. Si nascondono i motivi della violenza liberatoria di chi per anni aveva subito indescrivibili soprusi e si modificano i numeri di questi fatti, trasformando la stima realistica e verificata di centinaia di morti in fantasiose ipotesi di centinaia di migliaia di vittime.

L'occupazione fascista in Jugoslavia, specialmente nelle province del Litorale e dell'Istria impose già dagli anni '20 la cultura e la lingua italiana, chiudendo le scuole slovene e croate, distruggendo 400 sedi e associazioni culturali, escludendo dagli impieghi pubblici gli slavi e sequestrando migliaia di terreni agricoli, affidandoli agli italiani. Tra il 1940 e il 1945 ci furono 45.000 morti tra sloveni e croati e italiani antifascisti, di cui molti gettati nelle foibe, 95.460 arrestati ed internati nei campi di concentramento che furono 113 in Italia, 15 in Jugoslavia e diversi ancora in altri territori occupati. Solo in Slovenia ci furono 13.606 morti nei lager.

Nessun paragone deve essere fatto tra questa violenza che è parte centrale di un programma ideologico che vuole una categoria di esseri umani superiore alle altre e una violenza che di questa ideologia e delle sue conseguenze si vuole disfare.

SE C'È QUALCUNO CHE DEVE ESSERE RICORDATO IN QUESTO GIORNO, NON SONO CERTO I MORTI FASCISTI E COLLABORAZIONISTI CHE HANNO UCCISO, TORTURATO, INCENDIATO, SACCHEGGIATO E STUPRATO, BENSÌ TUTTI QUELLI CHE HANNO COMBATTUTO CONTRO DI LORO.