mercoledì 6 maggio 2009

PISA 7 MAGGIO 1972

PISA 7 MAGGIO 1972
Franco Serantini anarchico di vent'anni
moriva a Pisa il 7 maggio 1972.

Due giorni prima, mentre partecipava ad una manifestazione antifascista di protesta contro il comizio dell'on. Giuseppe (Beppe) Niccolai del Movimento sociale italiano, alcuni uomini del 2° e 3° Plotone della 3a Compagnia del 1° Raggruppamento celere di Roma lo avevano barbaramente pestato a sangue.
Fermato e trasportato nel carcere del Don Bosco, il giorno seguente, nonostante manifestasse un malessere generale, era stato interrogato da un magistrato e sottoposto ad una superficiale visita medica. La mattina del 7 maggio venne trovato agonizzante nella sua cella e trasportato d'urgenza al pronto soccorso dove si spense.
Il certificato di morte parla di "ematoma intracranico post-traumatico", chi assisterà all'autopsia dichiarerà di aver visto un corpo massacrato dai colpi ricevuti durante l'arresto.
Una storia tragica di questo paese, purtroppo non l'unica, di cui gli esecutori all'epoca sono stati gli uomini preposti all'"ordine pubblico" e il mandante il governo del democristiano Giulio Andreotti e del ministro degli interni Mariano Rumor.
Pisa, come molte altre città, fu destinata ad essere il banco di prova di una campagna elettorale provocatoria e violenta, incentrata sull'ordine pubblico: unico obiettivo di questa campagna fu di portare allo scontro "militare" le opposizioni, soprattutto quelle extraparlamentari, per poter avallare la tesi degli opposti estremismi e riaffermare l'autorità dello Stato. Sono passati 37 anni e di Serantini si continua a parlare, la sua morte è ancora una ferita aperta nella storia recente della società italiana. Se ne parla, anche se, ad esempio, una parte della città di Pisa - come una parte delle forze politiche - vorrebbe una volta per tutte sotterrare di nuovo quel nome e la sua storia.
Il motivo di questa accesa guerra alla memoria è semplice: si vuole nascondere le responsabilità di chi ha guidato il Paese, promosso, organizzato ed eseguito, con cinica determinazione, quella stagione passata alla storia come "gli anni di piombo" ma che sarebbe più appropriato definire l'epoca del terrorismo di Stato e delle stragi impunite.
Troppo spesso negli ultimi decenni i "vincitori" hanno presentato il conto a quella parte politica, che viene considerata la madre spirituale del "terrorismo rosso", scordandosi, non a caso, la dinamica dei fatti e le responsabilità oggettive, anche se con obiettivi diversi, delle forze di governo, dei servizi segreti interni ed esteri, degli apparati polizieschi e dei neofascisti nello scatenamento di quella stagione di violenza.
Oggi sono i politici che vogliono fare la storia e le loro fonti predilette sono le sentenze dei tribunali e i media prezzolati ma in realtà la storia di quel decennio è ancora in gran parte da scrivere. Grazie a molti la memoria di Serantini non si è persa, vive nei cuori delle donne e degli uomini che continuano a credere e a battersi per gli ideali di giustizia sociale e libertà per i quali ha vissuto Franco.
La memoria di Serantini resiste, sui muri delle città, nelle canzoni, nei teatri, nei libri e nelle pagine web. Recentemente, un giovane musicista d'origine pisana, Francesco Filidei, gli ha dedicato anche un'opera che è stata presentata al Festival musicale di Montecarlo.Una memoria che giorno dopo giorno, testardamente, ricorda la scomoda verità: Franco Serantini, per la sua scelta di campo antifascista e libertaria, fu ucciso due volte: la prima da coloro che ne devastarono il corpo, la seconda da uno Stato che per scelta politica non volle fare "giustizia", perché ovviamente lo Stato non può processare se stesso.
Franco B.

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