martedì 29 dicembre 2009

A L'Aquila va tutto bene

Non si sente ripetere altro, dal governo, dai media e dai politici (tutti o quasi) e, molto spesso per riflesso, dalla gente comune.

Generalmente, nel bene e nel male, non è il caso di esprimersi in termini così definitivi, una regola aurea dalla quale non ci si dovrebbe astenere soprattutto in relazione ad una situazione complessa e ricca di sfumature e contraddizioni come quella aquilana, tuttavia, se in vista di una sintesi una forzatura va fatta, questa non ricalca certo i toni entusiastici e a tratti surreali utilizzati dai suddetti soggetti.
Ma andiamo con ordine.

Nella puntata di Matrix del 23/12 Bertolaso ha dichiarato pubblicamente che la ricostruzione delle case degli Aquilani non è affare che riguarda la Protezione Civile e che bensì quella fase sarà gestita dagli enti locali. Ora se da un lato la buona notizia è che finalmente la Protezione civile rinuncia a far qualcosa dopo mesi di strapotere assoluto, dall’altro la parvenza di un “ritorno alla democrazia” e di (ri)legittimazione degli enti locali nasconde tutta una serie di aspetti.

1 – Innanzitutto, implicitamente (ma neanche troppo) si ammette che in sostanza i lavori relativi alla “ricostruzione vera” non sono mai iniziati realmente, e del resto basta guardare all’enorme quantità di macerie e detriti (stimabile in milioni di metri cubi) che a distanza di quasi 9 mesi si trovano ancora nel centro storico di L’Aquila.

2 – Dopo mesi passati all’insegna di una strisciante mistificazione secondo la quale C.A.S.E e M.A.P sarebbero bastate per tutti gli sfollati, davanti allo spettro del fallimento nella migliore tradizione italiana si scarica l’onere al livello sottostante, in questo caso appunto dalla Protezione civile agli enti locali.

3 – Dopo gli innumerevoli spot mediatici seguiti alla consegna delle C.A.S.E e una volta convinta l’opinione pubblica, complice un’informazionea dir poco parziale, che a L’Aquila di più non si può fare o che addirittura tutto appunto è già stato fatto, si annuncia la ritirata strategica (dicembre o gennaio poco cambia) di chi non avrebbe mai potuto onorare le tante promesse fatte, con buona pace dei tanti ancora in situazioni di fortissimo disagio.

Attualmente, dai dati della Protezione civile emerge che al 23/12, cioè a 261 giorni dal terremoto:
- Meno di 13.000 persone risultano alloggiate tra C.A.S.E. e M.A.P, le due soluzioni abitative temporanee previste dalla Protezione civile.
- Altre 17.500 persone circa sono ancora alloggiate in albergo, nella stragrande maggioranza dei casi lontano dalla città di L’Aquila.
- Va poi considerato, alla luce delle diversissime situazioni presenti sul territorio, un’estrema difficoltà nel calcolo di tutti quelli che si sono allontanati dall’area terremotata, che hanno riparato presso parenti e amici o che sono rientrati abusivamente nelle proprie abitazioni sfuggendo al conteggio ufficiale, una cifra nell’ordine delle migliaia ma sulla quale è davvero difficile pronunciarsi in modo certo e definitivo (per una stima).

In ogni caso, dalle prime promesse che assicuravano una casa per tutti dal 15 settembre alla fine di novembre, si è passati via via ai mesi successivi fino all’attuale promessa di case consegnate entro il febbraio 2010, almeno per quanto riguarda la C.A.S.E., ossia le costruzioni durature (da 2700 euro al mq, più del doppio di quanto previsto dalla normativa edilizia antisismica) che andrebbero a formare lo scheletro delle cosidette new town. Per quanto riguarda i M.A.P. invece si parla addirittura di Aprile e oltre, tanto che lo stesso Bertolaso si è lamentato della “figuraccia” che a suo parere le ditte costruttrici gli stanno procurando.

Ma la figura peggiore la Protezione civile la fa proprio sulla questione dei subappalti per le C.A.S.E.totalmente fuori controllo, dove a seguito dell’arresto di un latitante all’interno di uno stabilimento di un’azienda locale una serie di controlli hanno portato alla scoperta di ben 132 ditte non in regola. Tuttavia, dinanzi al rischio politicamente inaccettabile di dover fermare gran parte dei lavori, la Protezione civile ha introdotto un’ordinanza (3820 del 12/11) per cui “Le autorizzazioni rilasciate dal dipartimento della Protezione civile per il subappalto dei lavori relativi alle strutture abitative e scolastiche realizzate o in corso di realizzazione, hanno efficacia dalla data di presentazione delle relative domande”. In questo modo tutto il pregresso è stato “de facto” regolarizzato, in un contesto che in parte già derogava alla normale disciplina sugli appalti. Chapeau.

In tutto ciò è da valutare l’enorme impatto economico di questa gestione post-sismica: le risorse assorbite dall’apparato della Protezione civile (il bilancio completo si avrà presumibilmente nei prossimi mesi), le spese, assai poco chiare peraltro, per il piano C.A.S.E. (altro interessantearticolo), il generosissimo canone pagato agli alberghi per ogni singolo sfollato ospitato (50 euro al giorno in media), le spese relative al mantenimento delle tendopoli (smantellate definitivamente solo in dicembre a 8 mesi dal sisma), e altre varie “spese accessorie”.

Tutte risorse che in tempi di vacche magre sono automaticamente sottratte a quelle (ma quali?) disponibili per la ricostruzione (quella vera) o se non altro per piani di intervento più inclusivi e meno impattanti per il territorio.

Ancora è di qualche giorno fa la notizia che, salvo colpi di scena dell’ultim’ora, la tanto sbandierata proroga della sospensione delle tasse per i terremotati riguarderà solo una fetta (peraltro minima) della popolazione, principalmente lavoratori autonomi e aziende con un reddito inferiore ai 200.000 euro, tagliando fuori tutti gli altri, cassintegrati compresi, che da gennaio riprenderanno a pagare regolarmente le tasse restituendo inoltre (in 60 rate) il 100% degli arretrati, il tutto in un territorio fortemente compromesso dal punto di vista delle attività produttive e del lavoro (quasi 20000 tra cassintegrati, licenziati e lavoratori in mobilità).

Se i numeri sin qui risultano giustamente inquietanti, ancor più grave, ancorchè difficilmente quantificabile, è il danno qualitativo, in termini sociali e identitari, prodotto dai processi in atto. Non si può in questa sede non rilevare ancora una volta la scelleratezza di un modello di ricostruzione periferico estremamente dispersivo che con i suoi fabbricati in larga parte permanenti sta impattando in modo irreversibile il territorio Aquilano, non riuscendo peraltro a garantire una sistemazione provvisoria a tutti gli sfollati come già ampiamente denunciato da tutti i comitati cittadini in tempi non sospetti.

Va ricordato inoltre che lo stesso sindaco di L’Aquila Massimo Cialente ha ammesso pubblicamente a più riprese di non aver partecipato al processo di individuazione delle aree (successivamente espropriate) in cui costruire le C.A.S.E. e di essere stato messo al corrente solo a cose fatte delle scelte già prese dalla Protezione civile (su questo aspetto si vedano le domande di site.it).

Evitiamo infine di soffermarci su tutta una serie di problematiche: infiltrazioni d’acqua, tubature congelate, coperture e tetti volanti, riscontrati nei nuovi fabbricati a Roio, Coppito, Cese di Preturo, Sant’Elia e persino nel tanto celebrato conservatorio di L’Aquila, appena inaugurato in pompa magna sui media nazionali.
Sempre sul versante dell’informazione, accanto all’ormai consolidata asimmetria per cui da un lato si innalzano toni trionfalistici a sostegno di ogni singolo proclama lanciato dal governo e dall’altro si tace su qualunque aspetto critico, assistiamo ultimamente a taluni moti del tutto gratuiti oltre che sfrontati (un esempio).

E tutto mentre il centro di L’Aquila, dato praticamente per risorto, continua in larga parte a marcire, in un panorama surreale nel quale l’unica presenza di casa è quella dei militari che da nove mesi ormai fanno la guardia a quartieri fantasma.

Eppure anche domani si dirà che a L’Aquila va tutto bene.

Epicentro Solidale

Related Link: http://www.epicentrosolidale.org/?p=12283

giovedì 24 dicembre 2009

In ricordo della strage all'ex CPT di Trapani "Serraino Vulpitta"

Riceviamo dai compagni siciliani
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Associazioni, comunità religiose, forze politiche e sindacali attive a Trapani e in Sicilia promuovono e organizzano per i giorni 27 e 28 dicembre 2009 alcune iniziative pubbliche in occasione del decimo anniversario del tragico rogo del Centro di Permanenza Temporanea “Serraino Vulpitta” di Trapani in cui persero la vita sei immigrati.

Domenica 27 si svolgerà un massiccio volantinaggio informativo lungo via G.B. Fardella a partire dalle ore 18.

Lunedì 28 sarà effettuato un presidio antirazzista davanti il Centro di Identificazione ed Espulsione “Serraino Vulpitta” con inizio alle ore 15.30.
Successivamente, con inizio alle ore 18, nei locali del Cine Teatro Don Bosco di via Marino Torre, n. 15 sarà proiettato un documentario al quale seguirà un’assemblea cittadina.

Di seguito, e in allegato, il documento politico di indizione delle iniziative e l’elenco dei soggetti promotori.

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Dieci anni fa si consumava a Trapani la strage dell’allora Centro di Permanenza Temporanea “Serraino Vulpitta”. In seguito a una rivolta, sei immigrati detenuti nella struttura morirono a causa di un incendio divampato nella camerata in cui erano stati rinchiusi. Rabah, Nashreddine, Jamel, Ramsi, Lofti e Nassim – questi i loro nomi – persero la vita in un estremo tentativo di riprendersi la libertà che gli era stata negata.

Fin da subito apparvero evidenti le carenze strutturali del CPT “Vulpitta, un’ex casa di riposo per anziani adibita a campo di internamento per immigrati.
Dopo quei tragici fatti, anche grazie alla spinta degli antirazzisti trapanesi e di tutta la Sicilia che mantennero alta l’attenzione dell’opinione pubblica sulla vicenda, fu istruito un processo che vide alla sbarra l’allora prefetto di Trapani Leonardo Cerenzìa, imputato – in qualità di responsabile amministrativo della struttura – di omissione di atti d’ufficio, omicidio colposo plurimo, lesioni colpose, omessa cautela.

Da quel procedimento emersero elementi di negligenza e omissioni che dimostravano la generale inadeguatezza di chi – a tutti i livelli – gestiva il CPT.
Nell’aprile 2004, nel solco della peggiore tradizione delle stragi impunite di questo paese, Cerenzìa fu assolto da tutti i capi d’accusa e la sentenza fu confermata, un anno dopo, in appello. Nessun colpevole, dunque, tranne l’immigrato che materialmente appiccò l’incendio.

In questi dieci anni, la storia del CPT “Serraino Vulpitta” è stata continuamente scandita da episodi simili. Decine e decine di rivolte, di tentativi di fuga, di evasioni più o meno riuscite, di atti di autolesionismo, di tentati suicidi, di scioperi della fame, di proteste individuali e collettive. Per non parlare poi delle denunce degli immigrati che, in più occasioni, hanno puntato il dito contro l’invivibilità della struttura e le violenze delle forze dell’ordine deputate alla sorveglianza dei trattenuti.

Una storia, quella del “Serraino Vulpitta” in tutto simile a quella degli altri Centri di detenzione per immigrati sparsi per l’Italia. Galere etniche in cui le persone vengono rinchiuse solo perché classificate dalla legge come “irregolari” o “clandestine”. A dieci anni dal rogo del “Vulpitta” – il primo Centro istituito in Italia dalla legge Turco-Napolitano del 1998 – il livello della repressione nei confronti degli immigrati in Italia è addirittura peggiorato.

Governi di centrodestra e di centrosinistra hanno garantito una sostanziale continuità nelle normative sull’immigrazione, sempre finalizzate a rendere difficilissimo l’ottenimento del permesso di soggiorno e a creare un’enorme massa di manodopera a basso costo esposta al ricatto della clandestinità, delle mafie e dei trafficanti di esseri umani.

Negli ultimi dieci anni le campagne di criminalizzazione promosse dalla classe dirigente nei confronti degli immigrati hanno spianato la strada a un razzismo diffuso, a un’aperta ostilità contro gli stranieri, accusati di essere gli artefici di tutti i mali della nostra società. Il cosiddetto pacchetto-sicurezza è, nell’ordine, l’ultimo atto di una politica fondata sulla paura e l’autoritarismo, improntata al restringimento delle libertà civili (come i divieti a manifestare o a vivere liberamente gli spazi urbani) in nome della “sicurezza” o, peggio, di un presunto “decoro”.

La legge Bossi-Fini sull’immigrazione è stata ulteriormente inasprita dalle norme contenute nel pacchetto-sicurezza in cui si dispone la costruzione di nuovi Centri di detenzione per immigrati, il prolungamento della detenzione fino a sei mesi, il carattere penale del reato di clandestinità, il respingimento in mare dei migranti. A Trapani, città di frontiera già segnata dalla presenza del “Vulpitta”, è in fase avanzata di costruzione un nuovo e più grande Centro di identificazione ed espulsione in contrada Milo, all’estrema periferia della città, un nuovo lugubre monumento al razzismo di stato.

Negli ultimi dieci anni la migliore resistenza al razzismo è stata offerta proprio dagli immigrati, dalla loro autorganizzazione, dalla loro capacità di mobilitarsi per difendere i loro diritti. Le stesse rivolte, sempre frequenti in tutti i Centri di detenzione d’Italia (da Trapani a Caltanissetta, da Milano a Roma, da Modena a Bari, da Lampedusa a Gradisca d’Isonzo), sono la testimonianza più drammatica di quanto sia insostenibile la privazione della libertà quando si viene incriminati non per ciò che si fa ma per ciò che si è.

Nel decimo anniversario della strage del “Serraino Vulpitta”, il ricordo di quei fatti non può prescindere da una rinnovata opposizione all’esistenza di queste strutture e dal rifiuto netto di qualunque discriminazione e di ogni razzismo.Non ci arrenderemo mai all’idea di vivere in un paese razzista, un paese in cui la libertà e i diritti vengono oltraggiati dall’arroganza del potere.Non ci arrenderemo mai alla tentazione di considerare luoghi come il “Serraino Vulpitta” necessari o “normali”.

– Per ricordare Rabah, Nashreddine, Jamel, Ramsi, Lofti, Nasim morti nel rogo del 1999 e tutti i migranti morti nei CPT, davanti le nostre coste, spariti nelle campagne o sepolti sotto le macerie dei nostri cantieri..
– Per la chiusura del Centro di Identificazione ed Espulsione “Serraino Vulpitta” e contro l’apertura del nuovo CIE di contrada Milo.
– Per la chiusura di tutti i CIE (ex CPT), per l’abolizione delle leggi razziste (Bossi-Fini e Turco-Napolitano) e del pacchetto-sicurezza.
– Per l’eliminazione del legame tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno.
– Per la libertà di movimento di tutte e tutti, in Italia e nel mondo.
– Per il riconoscimento dei diritti fondamentali per tutti, immigrati e non.
– Per l’autonomia dei movimenti e l’autorganizzazione delle lotte.
– Per la solidarietà e la giustizia sociale, contro ogni razzismo.

Coordinamento per la Pace - Trapani
Associazione “Amici del Terzo Mondo” - Marsala
Ass. Italia-Tunisia
Ass. Senza Sponde
Ass. Un legale per tutti
CGIL - Trapani
Chiesa Valdese di Trapani e Marsala
Coordinamento Anarchico Palermitano
Federazione Anarchica Siciliana
Federazione Siciliana FdCA
Libera - associazioni, nomi e numeri contro le mafie
Movimento "Per Erice che vogliamo"
Partito della Rifondazione Comunista - Circolo “M. Rostagno” Trapani
Sinistra Ecologia e Libertà - Trapani
Un’Altra Storia - Trapani

giovedì 17 dicembre 2009

Nota in merito al comunicato diffuso da individualità fiorentine

In merito al comunicato diffuso in data 10 dicembre 2009 dalle individualità GC, SC, AD e RP, concernenti loro dimissioni dalla FdCA e la costituzione di una UCAd'I, la Segreteria Nazionale della FdCA precisa in prima istanza quanto segue:
  1. queste persone sono uscite dalla FdCA non il 10 dicembre c.a., ma ciascuna di esse in date diverse negli ultimi mesi e con motivazioni differenti - cosi come si evince dalla corrispondenza in nostro possesso;
  2. pertanto non era e non è in atto alcuna scissione interna alla FdCA;
  3. ulteriori precisazioni concernenti le affermazioni contenute nel comunicato in oggetto verranno fornite quanto prima dal Consiglio dei Delegati della FdCA.


Segreteria Nazionale

Federazione dei Comunisti Anarchici

16 dicembre 2009

Comunicato della CdC della Federazione Anarchica Italiana sulle provocazioni antianarchiche di Milano e Gradisca

La Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana- FAI denuncia la natura oggettivamente provocatoria e antianarchica delle esplosioni di Milano e Gradisca d’Isonzo.

Il nome degli anarchici viene strumentalmente associato a deliranti rivendicazioni che accompagnano detonazioni e fiammate, in un momento assai significativo, a poche ore dallo svolgimento di decine e decine di manifestazioni pubbliche che il Movimento anarchico ha promosso a Milano e in tutta Italia per tenere viva la memoria della strage di Stato, dell’assassinio di Pinelli e delle montature antianarchiche che quarant’anni fa a piazza Fontana aprirono la stagione della strategia della tensione.

Lo Stato, i suoi apparati e i loro servi non possono tollerare che, a distanza di quarant’anni, la memoria storica su quei tragici fatti sia ancora viva e presente nell’opinione pubblica. Per i poliziotti di professione e per quelli di vocazione, risulta intollerabile che nelle piazze, nelle scuole, e nei luoghi di lavoro gli anarchici continuino a ricordare e a far ricordare la natura criminale del potere e delle sue strutture di dominio.
Ed è per questo che, con infame puntualità, la polvere da sparo viene utilizzata nel tentativo di coprire la miseria in cui si dibatte la classe dirigente del paese.

Ancora una volta, la lotta antirazzista e l’opposizione ai Centri di Identificazione ed Espulsione per immigrati viene criminalizzata attraverso l’esercizio poliziesco della provocazione dinamitarda, proprio in un momento in cui il livello del conflitto espresso dagli immigrati smaschera giorno per giorno la natura totalitaria e razzista di questi lager contemporanei.

L’acronimo FAI, associato a una presunta "federazione anarchica informale", torna a essere vigliaccamente utilizzato per creare confusione e gettare discredito sull’impegno quotidiano profuso a viso aperto dai militanti e dai simpatizzanti della Federazione Anarchica Italiana nelle lotte sociali al fianco dei lavoratori, degli sfruttati, degli oppressi.

Respingiamo fermamente la provocazione, invitiamo i cittadini a non lasciarsi confondere dal clamore mediatico ed esortiamo gli operatori dell’informazione a non prestarsi a logiche di interessata disinformazione.

Nel denunciare questo miserabile copione, esprimiamo tutto il nostro sdegno per l’infamia di questi atti, funzionali alle logiche del potere, con cui si cerca di distruggere e infangare quello che gli anarchici cercano di costruire ogni giorno: una società libera dal potere, libera dalla sopraffazione, in cui la solidarietà, l’uguaglianza e la giustizia sociale siano pratiche reali e quotidiane.

Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana
FAIcdc@federazioneanarchica.org
http://www.federazioneanarchica.org/
16/12/2009

domenica 13 dicembre 2009

Vertice di Copenhagen sul clima: "Tutte chiacchiere e distintivo"

Quanti anni sono passati dal vertice di Kyoto che partorì il famoso protocollo, secondo il quale gran parte degli Stati della Terra si impegnavano a ridurre le proprie emissioni di CO2 e degli altri gas serra, responsabili principali dell'aumento repentino della temperatura media del Pianeta?

12 anni. Ad oggi (ottobre 2009) sono 187 i paesi che l'hanno ratificato ma, di questi, si contano sulle dita di una mano quelli che in parte hanno realmente iniziato ad applicarne gli intenti.
È pur vero che il protocollo è entrato ufficialmente in vigore nel 2005, dopo la ratifica dello stato Russo avvenuta nel 2004 (contributo in emissioni di circa il 18% sul totale) grazie al quale si è superato il tetto del 55% di emissioni totali dei paesi aderenti al protocollo, posto inizialmente come quantità al di sotto della quale il protocollo non poteva entrare ufficialmente in vigore.

Sembra però che la stragrande maggioranza dei paesi ratificanti, compresa l'Italia, abbiano approfittato di questa sorta di standby non tanto per cominciare a diminuire gradualmente le proprie emissioni di gas serra, ma semmai ad aumentarle.
Oltretutto l'intento del vertice di Kyoto non è che prevedesse chissà quale stravolgimento rivoluzionario, con il suo obbligo ai paesi industrializzati di operare una riduzione delle emissioni di gas serra in una misura non inferiore al 5% rispetto alle emissioni registrate nel 1990 (preso come anno di riferimento) in un periodo di cinque anni, dal 2008 al 2012.

E oltretutto con tutta una serie di scappatoie ad uso e consumo delle grandi imprese che, in cambio di progetti nei paesi in via di sviluppo, che producano benefici ambientali in termini di riduzione delle emissioni di gas-serra, ovviamente a spese delle fiscalità generali degli Stati, permettano alle multinazionali di questi identici Stati, di continuare a sforare i limiti previsti dal protocollo.
Come al solito, in barba agli accordi su cui loro stessi allegramente pongono le loro ipocrite firme.

Veniamo all'oggi.
Il 7 Dicembre è cominciato il Vertice di Copenaghen, la conferenza mondiale indetta dall'Onu sul clima, chiamata anche Cop15, perché è la quindicesima conferenza della "Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC)"; con la Cop3 nacque il Protocollo di Kyoto. Questa conferenza andrà a sostituire il protocollo di Kyoto, che come abbiamo visto scadrà nel 2012.

Ma non contenti dei "risultati ottenuti", pur a fronte di un misero -5% previsto a Kyoto, che cosa si apprestano a promettere gli oltre 15 mila delegati, provenienti da 192 nazioni?
La Cop15, che durerà fino al 18 dicembre, si propone di imporre dei limiti alle emissioni di gas serra che permettano di raffreddare di almeno 2 gradi la temperatura media del pianeta.
Secondo il foro intergovernativo sul mutamento climatico (IPCC) ciò sarebbe compatibile con una riduzione delle emissioni, da parte dei paesi sviluppati, dal 25 al 40 % rispetto ai livelli del 1990, in 10-15 anni a partire da subito.
Il 25-40%. Ossia 5-8 volte quello previsto da Kyoto, quando quel pur miserabile obbiettivo non è stato nemmeno minimamente sfiorato dalla stragrande parte dei paesi ratificanti.

Eppure le vanagloriose promesse non mancano. La Cina, ad esempio, ha promesso di tagliare le emissioni di gas serra per unità di crescita economica, misurate nel 2005, del 40-45% entro il 2020; l'India ha promesso di tagliarle del 24% nello stesso periodo; gli Stati Uniti del 17% entro il 2020 e l'Unione europea del 20% rispetto ai livelli del 1990.

Staremo a vedere. Per ora, al di là dei legittimi dubbi sui futuri intenti degli Stati industrializzati, le uniche certezze che abbiamo a disposizione sono quelle dei disastri ambientali provocati dall'interesse senza scrupoli del capitalismo.
A Copenaghen dibatteranno di sterili cifre mentre intere regioni vengono destinate a discariche a cielo aperto, per la cui gestione le varie mafie ingrassano sulla pelle della popolazione, permettendo al capitale e alle imprese di abbattere i costi ambientali facendoli pagare in natura, anzi in salute, agli abitanti.
Spenderanno ipocritamente parole a ruota libera sulle tecnologie a basso contenuto di carbonio, in un sistema che solo con le guerre, oltre a seminare morte, produce più CO2 delle emissioni dei veicoli di intere nazioni messe insieme.

Anche a guardare in casa nostra le cose sostanzialmente non cambiano.
Basta osservare i partecipanti e gli invitati al summit tenutosi a Roma, il 4 dicembre 2009, organizzato dal Kyoto Club e dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, in preparazione della delegazione italiana per Copenaghen.
Tra gli invitati infatti c'èra la presidentessa della Confindustria, Emma Marcegaglia, la cui impresa è proprietaria di vari impianti di incenerimento per "combustibile da rifiuti" (CDR), e centrali elettriche a biomasse; tra gli impianti più inquinanti dal punto di vista delle emissioni di gas serra, e oltretutto beneficiaria di quel meccanismo perverso, finanziato con le tasche del contribuente italiano, che va sotto la sigla CIP6.
La cosa buffa è che la signora Emma tempo fa si lamentava dei troppi vincoli che vengono dalla UE o da Kyoto in tema di emissioni di gas serra. Un ottimo portavoce delle istanze ambientali, non c'è che dire!

Mentre la nostra ministra dell'ambiente, la signora Prestigiacomo, comproprietaria di alcune delle industrie più inquinanti del settore chimico siracusano, ha avuto il pudore di non andare al summit di Roma ed ha preferito mandare come rappresentante il direttore generale del dicastero.

Come possono degli individui, direttamente interessati alla massimizzazione dei loro profitti, a scapito di tutto e quindi anche della nostra salute e dell'ambiente, rappresentare le istanze ambientali?

Come possiamo continuare a delegare i nostri bisogni, la difesa della nostra salute e dell'ambiente biologico in cui viviamo, a persone che, per il ruolo sociale che rivestono, pensano prima di tutto ad accumulare denaro e proprietà, infischiandosene del bene collettivo?

Noi pensiamo che per quanto riguarda la saturazione della nostra atmosfera ed in generale dell'intera ecosfera terrestre, ci stiamo pericolosamente ed esponenzialmente avvicinando al carico limite.
Prevedere i tempi del collasso è impossibile, tante sono le variabili al contorno.

Ma la via intrapresa dal mito dell'accumulazione capitalista e dello sviluppo senza limiti ci trascina inesorabilmente verso conseguenze irreversibili di disastri sociali e ambientali. Catastrofi ambientali da una parte e guerre dall'altra ne sono l'esempio diretto.

A meno che non rovesciamo la tendenza.
Certamente a partire anche dai comportamenti individuali, opponendosi con personale virtuosismo al dilagante consumismo, come propagandano la maggior parte delle organizzazioni ambientaliste. Ma ciò non è sufficiente, perché rovesciare questa tendenza alla miseria sociale ed ambientale, si ottiene specialmente gestendo direttamente ed in maniera egualitaria e libertaria la nostra vita collettiva, senza delegare agli Stati ed alle loro istituzioni alcun aspetto di essa.
Abbiamo visto troppe volte nella storia di quali disastri i capitalisti e le istituzioni statali che li appoggiano siano capaci sia in tema ambientale che sociale.

Un altro mondo di libertà, uguaglianza sociale e partecipazione non solo è possibile, ma diviene sempre più necessario.

12 dicembre 2009

Gruppo di Lavoro energia e ambiente
FEDERAZIONE DEI COMUNISTI ANARCHICI

Link esterno: http://www.fdca.it

mercoledì 9 dicembre 2009

Iniziativa-dibattito su quarantennale dell'assassinio di Pino Pinelli

Riceviamo, e pubblichiamo, dai compagni del Gruppo Cafiero - FAI Roma
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Roma 15 dicembre 2009
Iniziativa-Dibattito
in occasione del quarantennale dell'omicidio di Pino Pinelli

ore 19:00, al Blow Club
via di Porta Labicana 24 (zona San Lorenzo)
Interverranno: Roberto Gargamelli, Robertino Mander ed altri compagni del "22 Marzo".
Testimonianza in video di Lello Valitutti.
I proventi e le sottoscrizioni della serata andranno a sostegno dei compagni marsicani inquisiti per antifascismo e degli anarcosindacalisti serbi arrestati

sabato 5 dicembre 2009

Proposta di coordinamenti di lavoratori di Milano ed Ascoli

Vi preghiamo di farla circolare tra ilavoratori in lotta contro le crisi aziendali,ristrutturazione, precarietà e licenziamenti per raccolta adesioni...

Proposta per una riunione nazionale autoconvocata dei coordinamenti e dei comitati di lotta dei lavoratori e delle aziende in crisi.

Come Coordinamento dei Lavoratori del Piceno e Coordinamento Lavoratori Uniti Contro la Crisi di Milano, riteniamo che per far fronte all'attacco generalizzato al salario e ai diritti di tutti i lavoratori da parte dei padroni e dei loro governi, attacco di portata nazionale e internazionale, è necessario ricostruire, il più velocemente possibile, un´unità sempre maggiore della classe lavoratrice a prescindere dal comparto lavorativo, dall'appartenenza sindacale, dalla nazionalità, ecc.

Dopo essersi arricchiti per anni con i frutti del nostro lavoro, aziende e imprese varie vogliono ora approfittare dell´acuirsi di questa profonda crisi economica per farne pagare interamente a noi lavoratori i costi. Tutto questo mentre spudoratamente chiedono a governi compiacenti nuovi sgravi e aiuti statali. Le speculazioni, le svendite, le delocalizzazioni, le cassa integrazioni ed i licenziamenti collettivi in atto stanno cancellando centinaia di migliaia di posti di lavoro e quasi tutti i diritti in termini di contrattazione, diritti, sicurezza.

Milioni di persone sono di fronte all´unica prospettiva della miseria e della disoccupazione di massa, quando già la precarizzazione e la flessibilità degli ultimi hanno duramente compromesso il futuro delle giovani generazioni di lavoratrici e lavoratori.

È proprio il riconoscimento della necessità di una risposta unitaria alla crisi da parte dei lavoratori che ha ispirato la costruzione del coord. del Piceno e quello milanese, e di tanti altri comitati e coordinamenti di lotta che si stanno spontaneamente organizzando dal Lazio alla Sardegna, dalla Basilicata al Friuli, nel nord e nel sud Italia.

Ognuno di noi, nel proprio posto di lavoro ha scelto legittimamente come impostare la propria vertenza sindacale e da quale organizzazione farsi rappresentare. Tutti abbiamo bisogno di un forte sindacato di classe a livello di massa, ma non ci interessa qui costruire un´ennesima sigla. Al contrario,pensiamo che gli strumenti sindacali vadano rafforzati e condizionati con una forte spinta dal basso e una vasta unità delle lotte.

Riteniamo quindi che per rafforzare queste reti nate dal basso, per costruire legami unitari ancora più grandi e incisivi, per stimolare la costruzione di coordinamenti in ogni distretto produttivo, sia necessario organizzare un momento di confronto diretto eautoconvocato tra tutte queste realtà di lotta contro la crisi per tentare di costruire un coordinamento nazionale che ci permetta di condividere maggiormente informazioni, iniziative, momenti comuni di lotta che diano visibilità alle nostre ragioni troppo spesso oscurate e trascurate.

Un movimento fatto da lavoratori per difendere meglio lavoro e salario. Proponiamo di organizzare una riunione nazionale per delegati rappresentanti di tutti i coordinamenti e comitati di lotta nati in tutto il paese.
Proponiamo che la riunione si tenga a Roma sabato 23 gennaio a partire dalle ore 11.

Vi invitiamo quindi a mettervi in contatto con noi per organizzare nel modo più condiviso e unitario possibile questa riunione

Ascoli-Milano 03/12/2009

Coordinamento dei Lavoratori del Piceno: Manuli -Maflow - IKK - Cartiera Alstrom- PAL Italia - Bentel - Itac- Prisman - Deatec

Coordinamento Lavoratori Uniti Contro la Crisi di Milano: Marcegaglia Buildtech - Maflow -OMNIA Service - Lares - Metalli Preziosi - Bitron

Per contattarci: riunionenazionale@yahoo.it
Andrea Ascoli: 3494103507
Massimiliano Milano:3494906191