mercoledì 24 marzo 2010

Ciao Franco


Conservando vivo il tuo ricordo, ti rivolgiamo affettuosamente ancora un saluto a pugno chiuso, i tuoi compagni della federazione Siciliana FdCA

- Ciao Franco -
Due anni fa, il 24 marzo 2008, a Savona, si spegneva dopo anni di dolorosa malattia il compagno Franco Salomone, militante della Federazione dei Comunisti Anarchici; compagno che ha dato un grande contributo al comunismo anarchico e alla lotta di classe.
Impegnato fin da giovanissimo nelle strutture dell'anarchismo ligure, scelse da subito la linea comunista e classista e si impegnò quindi per decenni nella doppia battaglia, quella dell'impegno sul territorio, nelle lotte dei lavoratori, e in contemporanea nella ricostruzione di un anarchismo che a partire dagli anni '50 aveva perso la bussola dei principi comunisti anarchici, annullati in un anarchismo umanista e spesso "di ispirazione borghese" come aveva già denunciato Luigi Fabbri decenni precedenti.
Fra tutti i suoi scritti scelti, ricordiamo, per l’attualità dell’argomento:
La crisi del sindacalismo , intervento al seminario organizzato dal Centro Studi Per La Promozione della Cultura Libertaria, 1989


martedì 16 marzo 2010

Recessione globale, ma non per il commercio delle armi

Anche in tempi di profonda crisi economica globale, c'è almeno un settore che non conosce recessioni o periodi di decrescita. Potrebbe essere una buona notizia, se non fosse che il settore in questione è l'industria bellica e degli armamenti.

Proprio mentre si discute e si propongono nuovi accordi tra le potenze per la riduzione degli arsenali nucleari, aumentano senza sosta la produzione e la venditadi armi "convenzionali". Un rapporto dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) ha infatti rivelato che il volume medio dei traffici - leciti - di armi è aumentato del 22 per cento negli ultimi cinque anni, rispetto al quinquennio precedente.

Il rapporto del centro di ricerca svedese non fornisce dati sulle cifre, costi e ricavi, del commercio di armi, dal momento che molti governi rifiutano di pubblicare le spese del settore. In realtà, i freddi numeri e le percentuali dicono molto, illustrano soprattutto la corsa agli armamenti in alcune aree del pianeta, e dunque descrivono l'assoluta mancanza di controllo sui conflitti, latenti e manifesti.

I rapporti politici tra le nazioni si giocano anche sul sempre fiorente mercato bellico. Anche nel periodo 2005-2009, è il continente asiatico il maggiore importatore diarmi, con una quota del 41 per cento. Cina e India sono naturalmente i principali acquirenti di armi, munizioni e equipaggiamenti militari, non solo in Asia, ma globalmente. Tuttavia i due paesi hanno ridotto le proprie spese nel settore, rispettivamente del 20 e del 7 per cento.

Nell'area del sud-est si registrano invece altissimi aumenti nelle importazioni di armi. L'Indonesia le ha aumentate di oltre l'80 per cento, Singapore del 150 per cento. La Malaysia addirittura del 722 percento negli ultimi cinque anni. Trent'anni dopo la fine della guerra del Vietnam, Singapore è il primo paese della regione ad entrare nella "top ten" degli importatori di armi. E' evidente che la sola concorrenza, improponibile, con la Cina non può giustificare investimenti così cospicui.

Il rischio concreto è che la corsa agli armamenti destabilizzi la regione, dove la competizione sembra giocarsi ormai sugli arsenali e non sui mercati finanziari come negli anni novanta. Oltre alle due superpotenze asiatiche, i maggiori compratori sono la Corea del Sud, gli Emirati Arabi e la Grecia. I conflitti e le tensioni delle rispettive regioni spiegano in parte gli acquisti di Seul e Abu Dhabi.

Invece è sorprendente che la Grecia, paese devastato dalla crisi economica, continui ad essere il primo importatore europeo, soprattutto di aerei da guerra. L'Europa acquista quasi un quarto delle armi convenzionali, ma sono europei sette dei primi otto venditori. Stati Uniti e Russia si dividono oltre la metà del mercato mondiale; la Germania, la Francia, la Gran Bretagna, i Paesi Bassi, l'Italia e la Spagna si spartiscono il resto. La neutrale Svezia ne vende quanto la Cina.

Poco da dire sul Medio Oriente. La costante condizione di guerra nell'area fa sì che l'area abbia assorbito il 17 per cento del commercio di armi. I paesi della penisola arabica acquistano soprattutto dagli Stati Uniti e dall'Europa, mentre l'Iran compra in Russia. Le importazioni iraniane, tuttavia, si sono mantenute molto basse anche nel 2009, a causa dell'embargo imposto dall'Onu alla Repubblica Islamica. Che è addirittura ventinovesima nella speciale classifica di chi compra armi dall'estero. Israele è sesto.

E' invece interessante quanto accade in Sudamerica. Continente che acquista meno del dieci per cento degli armamenti mondiali. La quota non sembrerebbe altissima, ma in realtà testimonia le tensioni del continente. Rispetto al 2004, infatti, le importazioni belliche sono aumentate del 150 per cento, sintomo evidente di una pericolosa corsa agli armamenti. Il Venezuela ha ricevuto oltre due miliardi di dollari in credito dalla Russia per acquistare sistemi di difesa aerea e mezzi militari blindati. La Germania, il cui export nel settore è aumentato del 100 percento, soprattutto con la vendita di carri armati e altri mezzi corazzati, fa ottimi affari con Brasile e Cile.

Infine, l'Africa. Ultimo continente anche nelle spese militari, con il 7 per cento. Ma in questo caso i numeri non dicono tutta la verità. Quote anche limitate di mercato, infatti, nell'Africa sub-sahariana hanno effetti decisivi sulle dinamiche delle crisi e dei conflitti regionali. Paesi dell'est europeo, Russia, Bielorussia e Ucraina in primis, hanno venduto armi a paesi fortemente instabili, come il Sudan eil Ciad, influendo irrimediabilmente sulle guerre locali. Inoltre su dieci embarghi Onu vigenti nel 2009, sette riguardano proprio paesi africani, dalla Costa d'Avorio alla Repubblica Democratica del Congo, dalla Somalia all'Eritrea, restrizioni spesso violate. Ma il rapporto, ricordiamolo, si limita a presentare le quote, talvolta solo stimate, del commercio "legale" delle armi, che non risente della crisi. Figurarsi il traffico illecito e criminale.

PeaceReporter

lunedì 8 marzo 2010

ELEZIONI REGIONALI: LO STATO SI INTERPRETA

Non è la prima volta e non sarà l'ultima che il potere esecutivo e quello legislativo danno interpretazioni (autentiche ??) delle leggi esistenti allo scopo di garantire interessi di parte, prima ancora che salvare la faccia alla democrazia borghese.

Le liste di centrodestra nel Lazio ed in Lombardia vengono dunque riammesse alla competizione elettorale con la autorevole firma del presidente della repubblica.
Golpe? Piccolo golpe alla Pinochet, ma per fortuna senza spargimento di sangue? No, niente di tutto questo, solo un provvedimento amministrativo che conferma la forza dell'esecutivo in carica e che specularmente userà lo sdegno degli attivisti del PD e dell'IDV per rafforzare la sacralità delle leggi dello Stato.

Nulla è stato violato, tutto è stato violato.
Come quasi sempre accade alle leggi in vigore in questo paese, soprattutto a quelle che concedono qualche tutela ai cittadini più deboli e sfruttati.
Ben altri atti legislativi hanno oltraggiato e calpestato la dignità pubblica del paese!! Vedi il recente provvedimento che inibisce l'efficacia del famoso art.18 dello Statuto dei Lavoratori, o il reato di clandestinità per i lavoratori immigrati. O la partecipazione a missioni militari "umanitarie" armate come nel Kossovo, Iraq ed Afghanistan..

Ora la partita in queste due regioni è partita vera. Tra due destre.
Nel Lazio da una parte la sionista e turboliberista Emma Bonino e dall'altra la corporativista (ex-fascista) Renata Polverini.

In Lombardia da una parte lo "sceriffo" Penati e dall'altra il ciellino Formigoni.
E che dire in Campania della partita a scopone tra Vincenzo De Luca (fascista nelle vesti di PD) e Stefano Caldoro (ex-socialista in PdL)?

Lo Stato dunque si interpreta e garantisce alle correnti di potere al suo interno di misurarsi per continuare in un modo o nell'altro a rappresentare gli interessi di tutto il sistema di produzione capitalistico.

Un decreto che non ci riguarda, che non ci toglie nè ci dà nulla.
Perchè la competizione elettorale non è mai stata la nostra partita, non è mai stata la nostra lotta.

Quella degli sfruttati, della classe dei produttori della ricchezza, dei/le salariati/e contro la barbarie del capitalismo e il potere dello Stato.

Federazione dei Comunisti Anarchici
7 marzo 2010

sabato 6 marzo 2010

Come si racconta il primo marzo

Come si racconta il primo marzo
Il primo marzo è stato un successo. Molti l'hanno perciò raccontato;anche quelli che nemmeno per un momento l'avevano preso sul serio.

Il primo marzo è successo di tutto, quindi ora è un successo di tutti. Sono successe cose bellissime. Tranne il primo sciopero diffuso su una vasta regione di migliaia di migranti e di italiani contro lo sfruttamento del lavoro migrante.
Non è un caso che quanto è successoa Brescia -- 50 aziende in sciopero e quindi una piazza colma di 10.000 persone -- sia stato quasi assente tanto dalle cronache giornalistiche quanto dalle analisi politiche.

Il nesso tra losciopero contro lo sfruttamento del lavoro migrante e le piazze viene semplicemente rimosso, taciuto, negato. Questo sciopero mantiene così il marchio di fuoco di evento letterario o folkloristico che gli avevano impresso alcuni sindacalisti di professione.

Abbiamo così imparato che lo sciopero esiste solo quando il sindacato lo dichiara, non quando lo fanno i lavoratori. E che è inaccettabile che l’idea dello sciopero sia formulata per la prima volta su Facebook. Si sa, il Novecento è finito. Tutto è nuovo! ma con giudizio, senza esagerare…Gli scioperi bisogna farli seriamente… Oppure non si fanno.

E loro non hanno fatto. Rimangono le piazze bellissime e colorate nella cui grande novità tutti possono riconoscere il trionfo delle parole d'ordine che usavano già prima. Le piazze compiono il miracolo di essere la novità che conferma il discorso complessivo nel quale ora ritrovano posto anche i migranti. Naturalmente insieme agli italiani, perché evidentemente la novità più rilevante di una giornata di lotta dei migranti è la presenza degli italiani, precari, studenti,antirazzisti.

Sembra che solo così si possa cogliere il senso più profondo di quanto avvenuto nelle meravigliose e colorate piazze. Peraltri ancora le piazze del primo marzo sono una novità talmente rilevante, che ora bisogna ripartire dalla manifestazione del 17ottobre... Noi diciamo semplicemente che le piazze del primo marzo sono state possibili perché è stata agitata e agita la parola d'ordine dello sciopero.

La chiara e brutale espressione: sciopero degli stranieri! ha stabilito la base su cui, chi ha preparato sul serio il primo marzo, ha incontrato una volontà enorme – in primo luogo dei migranti- di rifiutare ciò che avviene nell’Italia della legge Bossi-Fini, del Pacchetto Sicurezza, del razzismo istituzionale.

Le piazze devono perciò essere lette come effetto della pratica di migranti e italiani di sottrarsi - di dire no! - allo sfruttamento del lavoro migrante. Dove c'è stato e dove non c'è stato, che sia stato lo sciopero nella fabbrica, nel cantiere o nella cooperativa, che sia stato la chiusura dei negozi o dei banchi del mercato, lo sciopero ha prodotto le piazze.

Grande o piccola, questa è una novità. Noi non sappiamo dare un nome futuro a questa novità. Sappiamo che c’è stato un rifiuto radicale e di massa delle gerarchie del lavoro, della produzione e della riproduzione sociale. E’ poi certamente vero che nelle piazze non c’erano solo quelli che avevano scioperato. Lo sciopero, tuttavia, ha propagato l’eco di una forza; ha permesso anche a molti antirazzisti di scendere in piazza, per una volta, non in solidarietà, ma insieme ai migranti.

Questo segna un passo in avanti rispetto al protagonismo dai migranti che pure da anni si vede nelle piazze italiane, e mostra il potenziale politico di questo protagonismo. Esso, non a caso, si esprime proprio là dove pare impossibile oggi rovesciare i rapporti di forza: il lavoro, il lavoro sicuro che sicuro non è, il lavoro precario, il lavoro informale, il lavoro che non ci sarà, il lavoro che non c'è...

Pubblicheremo l'elenco delle aziende che hanno scioperato in
www.lavoromigrante.splinder.com

Come si può vedere, a Brescia, a Suzzara nel basso mantovano, a Bologna, a Reggio Emilia, a Parma, a Trento decine di fabbriche, cantieri, cooperative di servizi si sono fermati. A Bologna molti commercianti migranti hanno abbassato le saracinesche. A Torino il mercato di Porta Palazzo è stato praticamente bloccato.

Abbiamo già detto e scritto che cosa significa per noi sciopero del lavoro migrante. Non pensiamo che i migranti siano un soggetto monolitico, ma diciamo da anni che occupano una posizione strategica,rilevante e decisiva, per il lavoro e la vita degli italiani e degli europei. Perciò diciamo che la realtà e la minaccia del loro sciopero sono state la scossa che ha messo in moto le piazze. In nome di questa forza manifesta i migranti sono riusciti a chiamare in piazza altri lavoratori, altri studenti, altri cittadini.

Coordinamento per lo sciopero del lavoro migrante in Italia

coordinamentosciopero@gmail.com
www.lavoromigrante.splinder.com

giovedì 4 marzo 2010

Quelli pericolosi siete voi! Storie di ordinaria repressione in Italia.

Riceviamo e volentieri postiamo

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Questo vuole essere un atto di denuncia, una dura condanna e una chiara presa di posizione di fronte alla grave iniziativa intrapresa dalla Questura di Roma nei confronti di un attivista del Laboratorio Acrobax da tempo impegnato a fianco delle lotte sociali dei precari e dei disoccupati, per la difesa dei beni comuni sul territorio e per il diritto all’abitare a fianco dei movimenti di lotta per la casa. Ci riferiamo alla disposizione per l’articolo 1 della legge 1423, varata dal famigerato governo Tambroni nel lontano 1956, sulla pericolosità sociale che, dal novembre dello scorso anno, ha colpito Rafael. Un provvedimento della durata di tre anni e che da ieri è stato confermato e reso esecutivo dal Questore di Roma, respingendo formalmente il ricorso legale.

Si contesta al nostro compagno di essere un soggetto "socialmente pericoloso per la sicurezza e per la pubblica moralità” e lo si invita a cambiare comportamento perchè questo infame dispositivo legislativo e il suo uso politico, includono per di più la minaccia di ricorrere ad ulteriori misure di prevenzione come la sorveglianza speciale, prevista dagli articoli che seguono, qualora vi siano ulteriori deferimenti o segnalazioni di violazione delle disposizioni inerenti la legge stessa.
Gli vengono contestati i carichi pendenti relativi a processi tutt'ora in corso (questo compagno all'oggi non ha nessuna condanna per nessun reato!) per i quali gli viene attribuita la supposta pericolosità sociale e che rappresentano, secondo la Questura, le sufficienti motivazioni per "configurare un profilo del soggetto in linea con le categorie previste dall'art. 1 e conforme al concetto di condotta e pericolosità sociale, espresso nell'art. 4 della citata legge". Non solo, il provvedimento prosegue aggravando l’ipotesi, poichè si valuta addirittura che “l’asserito e spiccato interesse per le forme di partecipazione politica di base che pone all’attenzione pubblica temi di interesse generale, non esclude la commissione di reati specifici per i quali l’istante si è reso già responsabile”.
Nel pieno della devastante crisi globale, siamo alla pantomima del peggiore processo alle intenzioni... o nella migliore delle ipotesi, dentro il set di minority report! Invece è purtroppo un decreto ufficiale del Questore di Roma.

Riteniamo poi gravissimo l’accostamento dello spiccato interesse alla partecipazione della vita politica di base, con le ipotesi di reiterazioni di reati già contestati, reati peraltro di lieve entità e tutti legati alle lotte sociali e che, come tali, non possono e non devono subire in silenzio la demonizzazione giudiziaria o, come spesso accade, il linciaggio mediatico, dentro quel generale "laboratorio della repressione" che vede nella penalizzazione della partecipazione politica alla vita sociale e all’autorganizzazione uno degli strumenti più usati dal potere. Un abuso, dunque, per punire e sorvegliare chi da anni è presente nei territori della nostra città a fianco degli esclusi. E' come dire: se protesti ancora una volta io ti arresto. Perchè la questione non è fare qualcosa di "illegale", ma anche semplicemente stare in un luogo, ad esempio una manifestazione, una casa occupata, un meeting, un presidio, con determinate persone, altrettando pericolose...ad esempio i tuoi compagni di lotta e di vita.
Ma i nostri sono spazi di democrazia diretta, di autorganizzazione e di autogoverno che vogliamo difendere fino all’ultimo respiro, come il diritto alla partecipazione politica dal basso di tutti i cittadini, all’agibilità democratica che, giorno dopo giorno, la svolta autoritaria in corso da anni nel nostro paese ci vorrebbe progressivamente negare.

Chiediamo l’immediata revoca del provvedimento sulla pericolosità sociale per il nostro compagno e rivendichiamo il diritto alla partecipazione dal basso alla vita politica della nostra città e del nostro Paese. Continueremo a lottare per la libertà e la dignità di tutte e tutti, oltre i limiti imposti da queste leggi ridicole, "politiche" e razziste, che sono fuori dai tempi e dai linguaggi della nostra storia e del futuro che vogliamo costruire.

Per questo insieme ad un gruppo di attivisti delle lotte sociali sparsi per l’Italia e a diverse realtà impegnate sul carcere, abbiamo iniziato a lavorare ad un inchiesta/libro bianco sulla repressione e il controllo in Italia, dal titolo provvisorio di “Sorvegliati e puniti”. Un percorso che coinvolga singoli attivisti, collettivi autorganizzati, sindacati di base, reti che si muovono per i diritti e la libertà, ma anche studi legali, giuristi, intellettuali…

Invitiamo tutt* a leggere la presentazione del progetto sul sito www.indipendenti.eu e a contribuire alla costruzione di questo lavoro collettivo in tutti i modi possibili, collaborando, facendo girare l’appello, inviandoci informazioni e contributi all’indirizzo:libertadimovimento@inventati.org.

Per manifestare il proprio sdegno e segnalare la propria solidarietà inoltre chiediamo di sottoscrivere(inviando una mail al medesimo indirizzo)questo appello che verrà inoltrato alla Questura di Roma insieme al nuovo ricorso per la sospensione immediata del decreto.


Laboratorio Acrobax
Coordinamento cittadino di lotta x la casa
Rete degli Indipendenti