martedì 6 aprile 2010

Quando Joy dice "No" è "NO!"

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Dieci mesi passati tra Cie e carceri, dieci mesi di pasta col pomodoro e riso col pomodoro.
E la prospettiva di passarne così ancora almeno altri due.Oggi Joy ha detto "Basta!" e ha rimandato indietro, a pranzo e cena, la sbobba propinata al Cie di Modena.

Il risultato? La polizia è andata da lei con i militari, l'hanno chiamata in corridoio, da sola, chiedendole perché non volesse mangiare. Joy ha spiegatoche non ne poteva più, dopo dieci mesi, di mangiare sempre le stesse cose.

Alla domanda "Cosa vuoi fare?", ha risposto che vuole morire, rifiutare il cibo e fare lo sciopero della fame fino a morire. Il consiglio che le viene dato dalla polizia è di battere la testa contro almuro fino a spaccarsela, di ammazzarsi così.

Ma Joy non demorde e li invita a picchiarla fino ad ammazzarla di botte. Loro sanno bene cosa succederebbe dentro e fuori i Cie se questa cosa accadesse e, finalmente, se ne vanno...

E domani?
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Solidarietà a Joy e a tutti i prigionieri e prigioniere del razzismo di Stato!
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La società civile, le città, i quartieri, le scuole, le fabbriche sono diventati un grande affare securitario. Si va alla caccia di qualcuno da additare a nemico del potere costituito, nemico dell'ordine costituito, nemico del Papa, nemico dello sfruttamento, nemico delle discriminazioni, nemico dell'inquinamento, nemico del militarismo, nemico del neo-fascismo...

La posta in gioco è il controllo del territorio, non solo sul piano poliziesco-repressivo, ma anche sul piano della segregazione etnica, dell'imposizione di ideologie integraliste (neo-fascismo, clericalismo, militarismo), della valorizzazione affaristica e capitalistica di esso (ambiente, corridoi, energia, de-industrializzazione, case) senza avere tra i piedi forme di dissenso.

I lavoratori e le lavoratrici immigrati/e sono i/le primi/e a farne le spese. Ogni ondata securitaria anti-albanese, anti-araba, anti-rumena, anti-rom, non fa che alzare steccati che rinchiudono virtualmente ciascuno nella sua comunità, sotto la minaccia dell'espulsione o dei nuovi e "confortevoli" CIE a gestione consociativa cattolica e Coop, evitando così la contaminazione, l'interculturalità, magari l'unità di interessi.

La politica asservita al potere economico ha bisogno di questo terroristico controllo per tenere sotto scacco la classe lavoratrice mondiale nel tentativo di nascondere che è la globalizzazione dell'economia e la creazione di zone di libero scambio ed il conseguente sviluppo ineguale del capitalismo a spingere i migranti a cercare migliori condizioni di vita.

La globalizzazione economica si fonda su una nuova organizzazione e divisione internazionale del lavoro, sull'innovazione e l'impiego di tecnologie dell'informazione al fine di decentrare, delocalizzare e flessibilizzare la produzione mondiale, intessendo delle reti imprenditoriali interconnesse e interrelate. Il tutto, scomponendo allo stesso tempo la classe lavoratrice in mille gruppi, conduce all'iper-sfruttamento delle nuove generazioni operaie: giovani, donne, immigrati, bambini. Non si tratta d'una visione del passato, ottocentesca, è il più realistico dei presenti, è l'incubo del XXI° secolo.

Il feroce sfruttamento economico del capitale non guarda in faccia a nessuno, non sta a sottilizzare sul colore della pelle né tanto meno sulle credenze religiose; prende di mira soprattutto gli strati più deboli della popolazione, proprio perché più facilmente ricattabili e quindi più facilmente sfruttabili. Ieri i lavoratori italiani, irlandesi, ispanici negli USA, oggi quelli africani, europei dell'est, mediorientali nella democratica Europa.

Questo è il motivo per cui lo sfruttamento mondializzato mira soprattutto le popolazioni immigrate, perché private dei diritti e sradicate, portate a rinchiudersi nel ghetto delle identità, costituiscono una popolazione facile da sfruttare.
Il padronato ne fa una strumentalizzazione per dividere i lavoratori creando competizioni fittizie che generano e rinsaldano il razzismo. I clandestini sono per il padronato una preziosa manodopera docile e flessibile.

Separare i diritti (politici e sociali) dalla nazionalità, per la libertà di circolazione e di insediamento, è un mezzo per combattere questa tendenza del capitalismo.
Sono proprio questi muri che dobbiamo abbattere o superare con organismi di base cosmopoliti di italiani e nuovi cittadini, per lottare insieme contro le discriminazioni e per la piena cittadinanza, a tutti i livelli, a partire dalla lotta per la sicurezza sociale, per i diritti all'abitare, ad un lavoro dignitoso, per una scuola e una sanità accessibili a tutti.

In questa lotta è bene essere consapevoli che laddove le subdole forme repressive delle istituzioni non bastassero, bisognerà affrontare il razzismo incarnato oggi nelle formazioni neo-fasciste che appestano il territorio con una buona dose di consenso istituzionale.

Occorre, quindi, costituire reti antifasciste e antirazziste di massa che uniscano la battaglia culturale ed il mantenimento della memoria delle lotte della classe lavoratrice a campagne di agibilità piena del territorio.

E unitamente alla lotta per l'acquisizione della piena cittadinanza, occorre coinvolgere i lavoratori migranti alle lotte sindacali, sociali e territoriali.
Contro le logiche repressive, criminali, discriminatorie e di sfruttamento da qualunque parte provengano.

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