giovedì 24 giugno 2010

Pomigliano: vince l' orgoglio operaio.

A Pomigliano l'ultimatum della Fiat è fallito: costringere a barattare il
diritto al salario con la rinuncia ai propri diritti, costringere con un
referendum organizzato dalla azienda ad avallare l'imposizione delle
regole, anzi dimostrarsi felici e contenti con un responso
plebiscitario(superare l'80% di adesioni del si).

No! Tantissimi hanno votato, molti hanno segnato il si sulla scheda per il
bisogno di un reddito nonostante le condizioni capestro.
Tanti dicevano che la Fiat aveva ragione, Ministri, Industriali, Partiti,
Sindacati, giornali e tv, bisognava accettare, era giusto.

L'impresa ha sempre ragione, le sue regole debbono essere valide e
legittime: basta con il diritto di sciopero, basta con le malattie, meno
pause,più ritmi, più straordinari, finiamola con contratti e leggi troppo
garantiste,torniamo agli anni 50.

Insomma facciamo come in Cina, così attraiamo investimenti industriali, gli
diamo in finanziaria anche la possibilità di scegliere il regime fiscale
estero più favorevole.
Solo che in Cina iniziano a scioperare e ottengono gli aumenti.

E a Pomigliano la solitudine della Fiom e dello SlaiCobas non è risultata
così marginale e di pochi esagitati estremisti; infatti il risultato
plebiscitario non c'è stato, il 36% ha rifiutato di sottostare
all'imposizione della Fiat con un no deciso e senza tentennamenti.
La forza-lavoro si può vendere per necessità, ma non svendere al comando
capitalistico.

Nonostante i ripiegamenti,le sconfitte,i tentennamenti,l'isolamento,l'
ORGOGLIO operaio resiste. E anche la solidarietà dei lavoratori da
Mirafiori,a Melfi, alla Piaggio, persino in Polonia,si manifesta con
scioperi.

Il no di Pomigliano può essere l'annuncio che non si possono più cedere
diritti e regole all'impresa e che è il momento di iniziative, lotte e
progetti per riannodare l'unità e la solidarietà di classe .
Affinchè lo sciopero generale del 25 sia un momento di ripresa di un
ciclo di lotte che faccia pagare la crisi a chi non paga mai.

Commissione Sindacale FdCA
Reggio Emilia, 23 giugno 2010

mercoledì 16 giugno 2010

Lettera dei lavoratori FIAT di Tychy (Polonia) ai lavoratori di Pomigliano d'Arco (Italia)

La lettera di un gruppo di lavoratori della fabbrica di Tychy, in Polonia, ai colleghi di Pomigliano che stanno per votare se accettare o meno le condizioni della FIAT per riportare la produzione della Panda in Italia
(Questa lettera è stata scritta il 13 giugno, alla vigilia del referendum a Pomigliano d'Arco in cui i lavoratori sono chiamati a esprimersi sulle loro condizioni di lavoro. La FIAT ha accettato di investire su questa fabbrica per la produzione della Panda che al momento viene prodotta a Tychy in Polonia. I padroni chiedono ai lavoratori di lavorare di sabato, di fare tre turni al giorno invece di due e di tagliare le ferie. Tre sindacati su quattro hanno accettato queste condizioni, la FIOM resiste)
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La FIAT gioca molto sporco coi lavoratori. Quando trasferirono la produzione qui in Polonia ci dissero che se avessimo lavorato durissimo e superato tutti i limiti di produzione avremmo mantenuto il nostro posto di lavoro e ne avrebbero creati degli alti. E a Tychy lo abbiamo fatto. La fabbrica oggi è la più grande e produttiva d'Europa e non sono ammesse rimostranze all'amministrazione (fatta eccezione per quando i sindacati chiedono qualche bonus per i lavoratori più produttivi, o contrattano i turni del weekend)

A un certo punto verso la fine dell'anno scorso è iniziata a girare la voce che la FIAT aveva intenzione di spostare la produzione di nuovo in Italia. Da quel momento su Tychy è calato il terrore. Fiat Polonia pensa di poter fare di noi quello che vuole. L'anno scorso per esempio ha pagato solo il 40% dei bonus, benché noi avessimo superato ogni record di produzione.

Loro pensano che la gente non lotterà per la paura di perdere il lavoro. Ma noi siamo davvero arrabbiati. Il terzo "Giorno di Protesta" dei lavoratori di Tychy in programma per il 17 giugno non sarà educato come l'anno scorso. Che cosa abbiamo ormai da perdere?

Adesso stanno chiedendo ai lavoratori italiani di accettare condizioni peggiori, come fanno ogni volta. A chi lavora per loro fanno capire che se non accettano di lavorare come schiavi qualcun altro è disposto a farlo al posto loro. Danno per scontate le schiene spezzate dei nostri colleghi italiani, proprio come facevano con le nostre.

In qusesti giorni noi abbiamo sperato che i sindacati in Italia lottassero. Non per mantenere noi il nostro lavoro a Tychy, ma per mostrare alla FIAT che ci sono lavoratori disposti a resistere alle loro condizioni. I nostri sindacati, i nostri lavoratori, sono stati deboli. Avevamo la sensazione di non essere in condizione di lottare, di essere troppo poveri. Abbiamo implorato per ogni posto di lavoro. Abbiamo lasciato soli i lavoratori italiani prendendoci i loro posti di lavoro, e adesso ci troviamo nella loro stessa situazione.

E' chiaro però che tutto questo non può durare a lungo. Non possiamo continuare a contenderci tra di noi i posti di lavoro. Dobbiamo unirci e lottare per i nostri interessi internazionalmente.

Per noi non c'è altro da fare a Tychy che smettere di inginocchiarci e iniziare a combattere. Noi chiediamo ai nostri colleghi di resistere e sabotare l'azienda che ci ha dissanguati per anni e ora ci sputa addosso.

Lavoratori, è ora di cambiare.

(Originale http://libcom.org/news/letter-fiat-14062010)

venerdì 11 giugno 2010

Comunicato di un gruppo di detenuti del CIE di Ponte Galeria (Roma)

A tutte le persone che vivono in questo paese
A tutti coloro che credono ai giornali e alla televisione

Qui dentro ci danno da mangiare il cibo scaduto, le celle dove dormiamo hanno materassi vecchi e quindi scegliamo di dormire per terra, tanti tra di noi hanno la scabbia e la doccia e i bagni non funzionano.
La carta igenica viene distribuita solo 2 giorni a settimana, chi fa le pulizie non fa nulla e lascia sporchi i posti dove ci costrigono a vivere.

Il fiume vicino il parcheggio qui fuori è pieno di rane e zanzare che danno molto fastidio tutto il giorno, ci promettono di risolvere questo problema ma continua ogni giorno.

Ci sono detenuti che vengono dai CIE e anche dal carcere che sono stati abituati a prendere la loro terapia ma qui ci danno sonniferi e tranquillanti per farci dormire tutto il giorno.

Quando chiediamo di andare in infermeria perchè stiamo male, l’Auxilium ci costringe ad aspettare e se insistiamo una banda di 8-9 poliziotti ci chiude in una stanza con le manette, s’infilano i guanti per non lasciare traccia e ci picchiano forte.

Per fare la barba devi fare una domandina e devi aspettare, 1 giorno a settimana la barba e 1 i capelli.
Non possiamo avere la lametta.

Ci chiamano ospiti ma siamo detenuti.

Quello che ci domandiamo è perchè dopo il carcere dobbiamo andare in questi centri e dopo che abbiamo scontato una pena dobbiamo stare 6 mesi in questi posti senza capire il perchè.
Non ci hanno identificato in carcere? Perchè un’altra condanna di 6 mesi?

Tutti noi non siamo daccordo per questa legge, 6 mesi sono tanti e non siamo mica animali per questo hanno fatto lo sciopero della fame tutti quelli che stanno dentro il centro e allora, la sera del 3 giugno, è cominciata così:

ci hanno detto: "se non mangi non prendi terapie" ma qui ci sono persone con malattie gravi come il diabete e se non mangiano e si curano muoiono.

Uno di noi è andato a parlare con loro e l’hanno portato dentro una stanza davanti l’infermeria dove non ci sono telecamere e l’hanno picchiato.
Così la gente ha iniziato ad urlare di lasciarlo stare.
In quel momento sono entrati quasi 50 poliziotti con il loro materiale e con un oggetto elettrico che quando tocca la gente, la gente cade per terra.
Le guardie si sono tutte spostate sopra il tetto vicino la caserma dei carabinieri qui dentro, dove sta il campo da calcio.
Dalla parte sinistra sono entrati altri 50 poliziotti.

Quando abbiamo visto poliziotti, militari, carabinieri, polizia, finanza e squadra mobile ufficio stranieri (che sono i più infami) sui tetti, uno di noi ha cercato di capire perchè stavano picchiando il ragazzo nella stanza.
«Vattene via sporco » un poliziotto ha risposto così.
In quel momento siamo saliti tutti sopra le sbarre e qualcuno ha bruciato un materasso e quindi i poliziotti si sono spavenati e sono andati fuori le mura per prendere qualcuno che scappava.

Da quella notte non ci hanno fatto mangiare nè prendere medicine per due giorni.

Abbiamo preso un rubinetto vecchio e abbiamo spaccato la porta per uscire e quando la polizia ha visto che la porta era aperta hanno preso caschi e manganelli e ha picchiato il più giovane del centro, uno egiziano.
L’hanno fatto cadere per terra e ci hanno picchiati tutti anche con il gas, hanno rotto la gamba di un algerino e hanno portato via un vecchio che la sua famiglia e i sui figli sono cresciuti qui a Roma, hanno lanciato lacrimogeni e hanno detto che noi abbiamo fatto quel fumo per non far vedere niente alle telecamere. Così hanno scritto sui giornali.

Eravamo 25 persone e alcune uscivano dalla moschea lontano dal casino, ma i giornali sabato hanno scritto che era stato organizzato tutto dentro la moschea e ora vogliono chiuderla.
La moschea non si può chiudere perchè altrimenti succederebbe un altro casino.

Veniamo da paesi poveri, paesi dove c'è la guerra e ad alcuni di noi hanno ammazzato le famiglie davanti gli occhi.
Alcuni sono scappati per vedere il mondo e dimenticare tutto e hanno visto solo sbarre e cancelli.

Vogliamo lavorare per aiutare le nostre famiglie solo che la legge è un po' dura e ci portano dentro questi centri.
Quando arriviamo per la prima volta non abbiamo neanche idea di come è l'Europa.
Alcuni di noi dal mare sono stati portati direttamente qui e non hanno mai visto l'Italia.

La peggiore cosa è uscire dal carcere e finire nei centri per altri 6 mesi.

Non siamo venuti per creare problemi, soltanto per lavorare e avere una vita diversa, perchè non possiamo avere una vita come tutti?
Senza soldi non possiamo vivere e non abbiamo studiato perchè la povertà è il primo grande problema.
Ci sono persone che hanno paura delle pene e dei problemi nel proprio paese.
Per questi motivi veniamo in Europa.

La legge che hanno fatto non è giusta perchè sono queste cose che ti fanno odiare veramente l'Italia.
Se uno non ha mai fatto la galera nel paese suo, ha fatto la galera qua in Italia.
Vogliamo mettere apposto la nostra vita e aiutare le famiglie che ci aspettano.

Speriamo che potete capire queste cose che sono veramente una vergogna.

Un gruppo di detenuti del CIE di Ponte Galeria

mercoledì 2 giugno 2010

Mobilitazione per San Juan Copala

“Basta tacere, basta chinare la testa e rendersi conto che tutto passa tranne l'odio, la rabbia e il coraggio di poter cambiare l'ingiusto destino a cui ci hanno obbligato i politici corrotti, i corpi di polizia, i militari, i vigilantes, i paramilitari, i padroni del denaro, la classe politica putrefatta, che sa farsi ascoltare solo con l'uso delle armi.Il popolo può cambiare il suo destino e costruire il suo cammino di autonomia e di autodeterminazione…” (dalla lettera di Omar Esparza, marito di una delle vittime a San Juan Copala)

A coloro che non tacciono e non chinano la testa

IN SOLIDARIETA’ ALLE COMUNITA’ DEL MUNICIPIO AUTONOMO DI SAN JUAN COPALA, ROMPERE IL MURO DI SILENZIO ED ISOLAMENTO

Da più di sei mesi San Juan Copala, Municipio Autonomo che raccoglie una ventina di comunità indigene di etnia triqui dello stato di Oaxaca, è assediato dai paramilitari della UBISORT, organizzazione direttamente legata al partito di governo PRI e di cui fa parte lo stesso governatore dello stato Ulises Ruiz.

Negli ultimi due mesi in particolare la violenza dello stato e dei suoi servi è cresciuta brutalmente.

Il 27 Aprile scorso i paramilitari hanno teso un'imboscata ad una carovana di solidarietà di attivisti/e che portavano medicine e cibo a San Juan Copala e, sotto la pioggia di proiettili, sono stati uccisi la compagna messicana Bety Cariño e il compagno libertario finlandese Jyri Jaakkola.

Il 15 maggio 11 persone, tra cui donne e bambini, sono state sequestrate.

Il 26 dello stesso mese Timoteo Alejandro Ramirez e Cleriberta Castro, il cui coraggio e determinazione li ha resi autorevoli punti di riferimento della comunità di Yosoyuxi, sono stati uccisi con un agguato nella loro abitazione.

Questi sono solo i fatti più eclatanti: ogni giorno vengono perpetrate provocazioni, abusi e violenze di ogni tipo nei confronti delle popolazioni che vivono quei territori.

A fronte di questa situazione le comunità di San Juan Cop ala chiedono l’aiuto e la solidarietà di tutti/e coloro che in ogni parte del mondo lottano contro ogni forma di sopraffazione.

Testimonianze dirette e comunicati ci hanno raccontato gli abusi e le violenze che i potenti portano avanti in questo territorio, evidenziando la complicità tra i gruppi paramilitari e le autorità del governo di Oaxaca: la loro volontà è quella di annientare ogni forma di organizzazione sociale, politica e culturale di cui le comunità si sono dotate.

L’8 Giugno una nuova carovana umanitaria cercherà di rompere l'accerchiamento paramilitare e di salvare la vita a più di 70 famiglie che stanno sopravvivendo in condizioni inumane, portando alimenti, medicinali e un' appoggio concreto alla resistenza che le comunità triqui stanno conducendo a San Juan Copala.

Raccogliendo l'appello che ci arriva dal Messico, invitiamo tutte le realtà che fanno contro-informazione a diffondere il più possibile le notizie riguardo i fatti accaduti, per rompere l'isolamento mediatico internazionale che vive San Juan Copala.
L'8 giugno dalle pagine del nostro sito e dai microfoni di radioondarossa verranno dati aggiornamenti sull'andamento della carovana.

In solidarietà alle comunità di San Juan Copala il collettivo Nodo Solidale promuove due momenti di mobilitazione:

Venerdì 4 Giugno dalle 21.00 , all' isola pedonale del Pigneto

Assemblea pubblica sull'assedio del Municipio Autonomo di San Juan Copala, Oaxaca
proiezioni video della recente repressione e distribuzione di materiali informativi

Lunedì 7 Giugno 2010 dalle 10.00 alle 14.00, all' ambasciata messicana in Via Spallanzani 13

Presidio solidale contro l'accerchiamento militare del Municipio Autonomo di San Juan Copala



La solidarietà è un’arma

Sognando un’evasione senza confini,

Libertà per tutti/e.



Nodo Solidale. Base d’Appoggio della Resistenza Globale.