lunedì 26 luglio 2010

La guerra ai bambini di Gaza continua


"E' improvvisamente corsa dentro casa e si inginocchiata al centro del stanza dove stavamo tutti. Non avevamo capito fosse ferita, fino a quando non ha iniziato a vomitare fiotti di sangue dal naso e dalla bocca. I suoi fratelli erano immobili dinnanzi a lei, terrorizzati".

Dopo il massacro della famiglia Abu Said, che la settimana scorsa ha portato all'uccisione di una madre di cinque figli e il ferimento di altri tre civili, l'esercito israeliano ha esercitato ancora una volta l'uso di armi proibite contro la popolazione della Striscia di Gaza.

Secondo la ricostruzione basata sulle dichiarazioni dei testimoni, mercoledì 21 luglio, verso le ore 16, a Beit Hanun, guerriglieri della resistenza palestinese hanno cercato di respingere un'incursione di mezzi militari israeliani che avevano varcato di circa duecento metri il confine. Il fuoco israeliano ha immediatamente ucciso uno dei miliziani: Mohammed Hatem al-Kafarna, 23 anni, mentre un altro resistente, Qassem Mohammed Kamal al-Shanbari, di anni 20, è deceduto in ospedale per le ferite riportate.
Non paghi di questo, un carro armato dell'Israel Defense Forces (Idf) ha sparato tre proiettili carichi di freccette in varie aeree di Beit Hanun danneggiando delle abitazioni e ferendo otto civili, fra i quali una donna e cinque bambini .
Le freccette, il cui utilizzo in aeree densamente abitate è dichiarato illegale da Amnesty International e dalle maggiori organizzazioni per i diritti umani, sono piccoli dardi metallici dalla punta acuminata, lunghi 4 centimetri e provvisti di 4 alette nella parte posteriore, con cui vengono caricati i proiettili da 120 millimetri dei carri armati. Quando il proiettile esplode in aria, a 30 metri dal suolo, disperde uno sciame di 5mila-8mila freccette in un raggio conico, investendo un'area larga 300 metri e lunga 100.

Appena ricevuta la notizia con i miei compagni dell'International Solidarity Movement ci siamo precipitati all'ospedale al-Shifa in visita ai feriti più gravi. Tutt'ora ricoverati in pessime condizioni due bambini: Samah 'Eid al-Masri di 9 anni, ferita gravemente al petto, e Haitham Tha'er Qassem, di 4 anni, ferito gravemente al volto. Entrambi i bambini sono stati colpiti dalle freccette.
''Quando è arrivata in ospedale era in fin di vita." ci spiega il dottore che ha presa in cura Samah. "E' molto complicato e tremendamente doloroso e traumatico inserire un tubo di drenaggio nel torace di un bambino. La bambina ha perso molto sangue".
Le condizioni di Samah si sono ulteriormente aggravate per via della sua malattia. Come ci ha spiegato la madre, Samah e altri tre dei suoi figli soffrono di talassemia, affezione difficilmente curabile in una Gaza sotto assedio: secondo un recente rapporto del Palestinian Center of Human Rights, Israele previene l'entrata all'interno della Striscia del Exjade , farmaco specifico nella cura dei malati talassemici.

Una famiglia da sempre vittima dell'esercito israeliano quella degli Eid Al Masri. Durante l'operazione militare Piombo Fuso, una bomba ha centrato la loro casa uccidendo un conoscente della famiglia e ferendo alla testa Ryad, un altro fratello di Samah, che per le ferite riportate ha perso la vista.
Mercoledì pomeriggio Samah stava giocando da sola in strada, ben distante dal confine e dal terreno degli scontri come ci ha tenuto a sottolineare la madre, fino quando non si sono uditi una serie di colpi nell'aria e successivamente l'urlo straziato della bimba colpita.

A pochi letti di distanza da Samah, un'altra minuscola vittima è ricoverata, il viso celato dai bendaggi. E' Haitham Thaer Qassem,di soli 4 anni. Avevano mandato fuori Haitham per una commissione in un negozio lì vicino, ci ha raccontato la madre, quando una bomba è caduta a 200 metri di distanza e ha scatenato lo sciame di freccette che lo hanno colpito ferendolo alla schiena, alla gamba destra e gravemente al viso. Alcune di queste frecce di acciaio sono ancora all'interno dell'esile corpo del bambino, e sarà necessaria una complicata operazione per rimuoverle.
Mentre ci allontanavamo dal reparto ospedaliero, via da Haitham che riprendeva conoscenza in preda a delle violente convulsioni, e via da Samah che soffocava sforzandosi di tenere in bocca il respiratore, con la madre impegnata a farle aria sventolandole addosso l'immagine radiografica delle sue ferite, mi è arrivato un messaggio telefonico. Un amico m'informava delle dichiarazioni del portavoce dell'esercito israeliano in relazione all'accaduto: "Tutti i colpiti sono combattenti".
Durante Piombo Fuso il governo israeliano dichiarava al mondo di stare chirurgicamente colpendo solo i terroristi di Hamas e le loro basi mentre campi profughi, scuole dell'Onu e ospedali venivano dati alla fiamme col fosforo bianco.
320 minori vennero uccisi allora.

La guerra israeliana contro i bambini non conosce tregua.

Restiamo Umani.
Vittorio Arrigoni dalla Striscia di Gaza

sabato 24 luglio 2010

appello a tutti i compagni e le compagne che attraverseranno l'italia quest'estate..

Appello a tutte le compagne e i compagni di ogni dove che transiteranno per l’Italia nell’estate 2010..e ovviamente a tutti quelli che rimarranno a Milano..
A tutti le /gli squatters, autonomi, anarchici, comunisti, insorgenti, ribelli, cospiratori, sperimentatori di nuove forme- di- vita..da qualsiasi luogo …

Siamo una comunità umana e di lotta
Abbiamo la sfortuna di abitare a Milano, una città del nord Italia in cui il sistema della merce ha raggiunto un mostruoso livello di efficacia.
Per molti versi una città di merda.
Noi però, nonostante la nostra città piena di polizia e cemento, abbiamo la testarda abitudine di non voler stare mai nella merda, e infatti sto giro abbiamo puntato in alto.
Abbiamo fatto il botto.
In risposta ad uno sgombero di una palazzina occupata da più di un anno, abbiamo dato vita la notte stessa ad una nuova occupazione, nel cuore pulsante del design e della moda milanese.
Ora abbiamo una reggia di 40 appartamenti con un ampio e accogliente spazio sociale che stiamo riempiendo con la nostra gioia sovversiva e travolgente.
Tutto ciò in un centralissimo quartiere, la zona Tortona, che è uno dei cardini dell’economia della città. In origine quartiere popolare con le sue bische e le sue storie, oggi la zona Tortona è il paradiso della merce, il quartiere del design internazionale e della Città della Moda.
Potete immaginare come le autorità cittadine e sbirresche, così come gli imprenditori della zona abbiano reagito a questo nostro blitz.. esso è stato percepito, e ci permettiamo di dire giustamente, come un atto di guerra contro la tranquilla normalità degli affari.
Per fortuna il quartiere ha invece risposto bene alla nostra presenza, partecipando alle nostre iniziative e dandoci ancora più forza.
Ora però giunge l’estate, e sentiamo il fiato pestilenziale della legge farsi sempre più vicino, e con esso il rischio sempre più reale di uno sgombero.
Rivolgiamo questo appello a tutti coloro che sono intenzionati a transitare per l’Italia durante questi mesi dell’estate, a tutti quei compagni che ancora non sanno quali rotte percorrere e potrebbero decidere di approdare sulla nostra scia.. a quelli che pensavano di stare a casa per mancanza di mezzi..a quelli che ci vogliono aiutare concretamente nel continuare la nostra lotta.
Accorrete da ovunque.. solidali, sovversivi itineranti, cospiratori internazionali curiosi di condividere con noi qualche sguardo sulla guerra in corso, compagni vacanzieri squatt-rinati.. da luglio a settembre 2010 sarà possibile essere ospiti dell’avamposto \casa occupata di via Savona 18 a Milano, sarà garantito il vitto e l’alloggio per i compagni e le compagne che ci porteranno po’ di solidarietà, nel frattempo organizzeremo dibattiti feste e workshop per scambiarci saperi informazioni umori e punti di vista sulla lotta contro questo sistema marcio..

SOSTENETE GLI AVAMPOSTI NELLA GUERRA CONTRO LA MERCE E LA SPECULAZIONE..
AIUTATECI A PERMETTERE ALLA RESISTENZA DI CONTINUARE A VINCERE..
SE IL CAPITALISMO NON HA NAZIONE , PERCHE’ DOVREMMO AVERLA NOI ALTRI??

RAGGIUNGETECI NUMEROSI:
LABOTTIGLIERIA OCCUPATA
VIA SAVONA 18 (quartiere tortona porta genova) MILANO ITALIA
Tram: 29\30\14\9 mm2: porta genova
la bottiglieria.noblogs.org
@: labottiglieria@autistici.org
Facebook: caffè bottiglieria occupata
Tel: +39 347\9321786
+39 338\4684496

SUPPORTA GLI SPAZI DIAUTONOMIA NELLA METROPOLI

AZIENDE COME CASERME

AZIENDE COME CASERME

LA FIAT SCEGLIE I LICENZIAMENTI E LA REPRESSIONE



Dopo le alte percentuali di voti contrari, astenuti e schede bianche a Pomigliano contro l’accordo stipulato con CISL, UIL ,UGL e Fismic, la FIAT ha scatenato una vera e propria azione di rappresaglia contro operai ed attivisti sindacali della FIOM e dello SLAI-Cobas in tutte le fabbriche del paese.

Se a Pomigliano resta alto il clima di intimidazione dopo il coraggioso NO uscito dal referendum, e si teme che con la costituzione della newco, si passi a licenziamenti di massa, a Melfi, a Mirafiori, a Termoli, a Cassino la FIAT ha risposto pesantemente agli scioperi indetti contro l’aumento dei ritmi e contro il mancato pagamento del premio di risultato, ma soprattutto contro i licenziamenti mirati adottati dall’azienda alla Sata di Melfi, a Mirafiori. Ora è toccato ad un operaio a Termoli. Domani?

Passano i decenni e l’azienda non perde la sua vocazione storica di interprete inflessibile di quella strategia dell'azienda come caserma che ha segnato i corpi e la dignità di generazioni di operai nel tentativo di stroncare –invano- la loro combattività e la loro capacità di organizzare dal basso la lotta e la resistenza fabbrica per fabbrica.

Il piano Marchionne non è altro –dunque- che l’ennesima e più moderna versione di quel disegno padronale che in FIAT non ha mai tollerato alcuna opposizione ai piani di ristrutturazione e di dismissione di forza lavoro, ed ha sempre perseguito il pieno controllo sulla gestione dei tempi e dei ritmi di lavoro e sulle politiche salariali legate alla produttività.

Dopo Termini Imerese, abbandonata dalla FIAT ad un destino di dismissione che sta inesorabilmente per compiersi entro il 2011, con la complicità di istituzioni locali e sindacati collaborativi, ora teme la chiusura anche la fabbrica di Tychy in Polonia, dove il clima di intimidazione si riproduce senza tregua, dopo la lettera di solidarietà degli operai polacchi agli operai di Pomigliano.

La lotta alla FIAT, in Italia e non solo, si pone dunque come dimostrazione della possibilità di mobilitazione e di opposizione operaia ai piani aziendali che, in Italia, come in Polonia ed in Serbia, usano la crisi come arma di ricatto per piegare il lavoro operaio alla logica del profitto e dei dividendi.


Gli operai della FIAT hanno bisogno della solidarietà di tutti i metalmeccanici, di tutti i lavoratori dell’industria e del pubblico impiego; gli attivisti sindacali colpiti dai licenziamenti e dalla repressione hanno bisogno della solidarietà di tutte le organizzazioni sindacali per le quali il conflitto di classe e la partecipazione dal basso alle lotte ed alla resistenza delle strutture sindacali nelle fabbriche costituiscono obiettivi strategici fondamentali.

La solidarietà operaia deve stringersi intorno alle categorie ed ai lavoratori oggi più esposti e più impegnati nel rispondere al pesante attacco portato dal padronato, dal governo di turno, dalla repressione statale che non tollera più manifestazioni, cortei, presidi, slogan e nemmeno un po’ di chiasso sotto le finestre del potere.

Solidarietà di classe e conflitto solidale internazionale

Per il reintegro degli operai licenziati

per impedire la chiusura di fabbriche,

per fermare l'emarginazione di migliaia di lavoratori e lavoratrici dal lavoro produttivo,

per restituire dignità al lavoro

contro l'annientamento dei diritti e delle libertà dei lavoratori e delle lavoratrici

contro la trasformazione della cig in mobilità per accelerare le dismissioni di personale

contro la riduzione in merce e servi delle lavoratrici e dei lavoratori espulsi dalla produzione

per una grande battaglia salariale alla FIAT, nei metalmeccanici, in tutte le categorie.



Commissione Sindacale FdCA

24 luglio 2010

sabato 17 luglio 2010

LA STRATEGIA DEL VAMPIRO

La strategia del vampiro!

Vampiri. Quelli veri. Quelli insaziabili di profitti, di lauti guadagni, di finanziamenti pubblici. Quelli che dopo aver spremuto sangue, sudore e lacrime dai lavoratori e dalle lavoratrici, li gettano per strada come inutili fardelli. Marchionne si nutre di uno stipendio da 5 milioni di euro, Bernabè di 4 milioni. Il primo, dopo avere chiuso la FIAT a Termini Imerese, ha inaugurato la strategia di sfondamento alla FIAT di Pomigliano: addio a norme e diritti conquistati con decenni di lotte sindacali e sociali e licenziamenti per i lavoratori che non ci stanno (vedi Melfi). Il secondo butta fuori dalla Telecom 3.700 lavoratori. In entrambi i casi, questi campioni della borghesia buona, tanto cari al centrosinistra, scaricano sui lavoratori i costi di ristrutturazioni e scalate finanziarie sospinte dalla crisi; eppure queste imprese proprio in piena crisi, grazie ai sostegni di banche e governi, continuano a realizzare sontuosi profitti e dividendi per i propri azionisti (Telecom quasi 2 miliardi nel 2009). Eccola qui la strategia del vampiro. Ecco il salto di qualità dell'offensiva padronale: usare la crisi come arma di ricatto sociale e usare oggi - come ieri in passato altri governi e lo Stato tutto - l'esecutivo Berlusconi come strumento di sfondamento politico per delegificare sui diritti nel mondo del lavoro.

Il conto a chi guadagna poco più di mille euro al mese e a precari supersfruttati da 700 euro.

Questa offensiva richiede una risposta di pari radicalità. Di fronte ai ricatti ed ai licenziamenti non c'è nulla da negoziare: occorre battersi per il ritiro dei licenziamenti alla Telecom, per la disapplicazione dell'accordo a Pomigliano. La strada del negoziato a partire dai programmi padronali ha condotto milioni di lavoratori in un vicolo cieco. E' il momento di mettere in campo la propria forza di lavoratori e lavoratrici per un livello di scontro qualitativamente nuovo, di fronte ad un padronato che si permette di farsi beffa dei lavoratori della Telecom annunciando i licenziamenti nello stesso giorno della sciopero aziendale. I padroni capiscono solo il linguaggio del conflitto, tanto più in tempo di crisi.

La vicenda Inse prima e la vicenda Alcoa poi, dimostrano che solo il conflitto organizzato e frontale porta a risultati: paga solo la lotta che non si fa imbrigliare da regole formali di un gioco truccato, che sfida la "legge" della proprietà, che non arretra di fronte alle minacce e alle intimidazioni dello Stato.

Se l'accordo di Pomigliano verrà generalizzato, occorrerà rispondere con una generalizzazione della lotta Fiat, come segnale indicatore per centinaia di vertenze in corso nella difesa del lavoro, per combattere i licenziamenti con la riappropriazione ed autogestione del lavoro nelle aziende che licenziano. Il coraggio dimostrato da quel 40% di NO operaio a Pomigliano, rivela non solo un dissenso sindacale ma un potenziale di ribellione sociale che prosegue con gli scioperi in corso in tutte le fabbriche FIAT.

A cui occorre dare sostegno e sbocco con mobilitazioni sindacali diffuse, dal basso, ricostruendo alla base la capacità di lotta e di rivendicazione.


Per la partecipazione alle lotte, per la democrazia diretta.

Per il lavoro, per il salario, per i diritti e le libertà sindacali

Commissione Sindacale
Federazione dei Comunisti Anarchici - FdCA

16 luglio 2010



Link esterno: http://www.fdca.it

lunedì 12 luglio 2010

E allora…denunciateci tutti.

E allora…denunciateci tutti.

3e32 - L'Aquila

Siamo venuti oggi a conoscenza delle denunce nei confronti di due partecipanti alla manifestazione degli aquilani a Roma del 7 di luglio.

Ribadiamo quanto espresso ieri dall’assemblea cittadina nella lettera indirizzata al Ministro degli Interni On. Maroni: di quanto è accaduto durante la manifestazione i promotori si assumono la piena ed unica responsabilità.

I cittadini aquilani hanno partecipato numerossissimi a quella manifestazione, partendo con oltre 40 pullman dalla città. Voler negare il fatto che erano i terremotati a chiedere diritti e ad urlare la propria rabbia è un’offesa nei confronti di chi, tra mille difficoltà, ha scelto di essere in piazza a Roma.

Dopo averci espropriati del diritto ad essere protagonisti della ricostruzione della nostra città ora si sta tentando in tutti i modi di nascondere l’evidenza del fatto che ERAVAMO NOI ad urlare sotto i palazzi del governo.

Il fatto che non ci fossero solo aquilani, significa soltanto che in tanti hanno aderito ai nostri appelli e alla nostra richiesta di solidarietà, hanno compreso e condiviso i nostri problemi e le nostre richieste: molte istituzioni locali non solo aquilane, movimenti, collettivi, associazioni di ogni città e territorio italiano. Questo perchè la questione aquilana non è non può essere considerata una questione locale. E’ un tema nazionale e a chiunque ci abbia espresso una solidarietà concreta esprimiamo la nostra gratitudine e la nostra solidarietà.

Denunciamo, inoltre, il continuo tentativo di spostare l’attenzione da quelli che sono i reali problemi del cratere . I media oggi dovrebbero parlare delle richieste legittime ed urgenti della popolazione aquilana, nessuna delle quali accolta dal governo. Le uniche risposte che abbiamo ricevuto sono state le mangnellate, gli scudi levati dalle forze dell’ordine, i feriti e oggi le denuce.

E allora denunciateci tutte e tutti.

12 Luglio 2010

Comitato 3e32 - L’Aquila

http://www.3e32.com/

venerdì 9 luglio 2010

dal Canada - Resistere al G20


Resistere al G20


Libertà per i nostri compagni – la solidarietà non è un crimine

L’UCL saluta il coraggio di tutte quelle persone, radicali o meno, che hanno osato sfidare il clima di terrore creato dallo Stato e che hanno preso parte alle proteste contro il vertice del G20 a Toronto. [Français]




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Libertà per i nostri compagni – La solidarietà non è un crimine

Sull’onda delle manifestazioni contro il G20 a Toronto e della pesante repressione politica messa in campo, l’UCL lancia un appello alla solidarietà. Circa 30 nostri militanti sono andati a Toronto per manifestare insieme all’Anti-Capitalist Convergence (CLAC-2010) ed insieme ai nostri compagni anarchici dell’organizzazione Common Cause. Quello che abbiamo visto e che abbiamo vissuto ci ha fatto reagire con decisione ed è per questo che siamo tornati nelle strade giovedì 1 luglio per denunciare la repressione e per chiedere il rilascio di tutti gli arrestati.

Contro il G20
E’ forse utile ripercorrere alcuni fatti fondamentali. Il G20 è un’istituzione illegale che gode di un enorme potere e di enorme influenza nelle sfere internazionali. Tale organizzazione viene chiamata sempre più spesso ad intervenire nell’economia globale. Si tratta perciò di un organismo di governance globale al servizio degli interessi capitalisti. Le politiche e le linee-guida che vengono discusse in questi vertici hanno un impatto sempre più consistente sulla vita degli abitanti della Terra. Per esempio, le linee-guida sull’austerità fiscale confermata nella scorsa settimana, vuol dire in effetti che dopo l’iniezione di massicce quantità di denaro pubblico per stabilizzare l’economia capitalista in crisi, ora il conto da pagare viene presentato alle masse popolari. Non vi erano riserve nel protestare contro il G20, poichè si tratta del concentrato di tutto quello che c'è di sbagliato nell’attuale sistema

Resistenza
Nonostante un clima di terrore ed una campagna mediatica senza precedenti per scoraggiare la gente dal manifestare contro il G20, le persone si sono mobilitate. Al culmine degli eventi, sabato, circa 20,000 persone erano in strada in un corteo massiccio ed unito. Un settore del corteo era costituito da migliaia di anticapitalisti ed anticolonialisti. Mobilitatosi in nome della diversità delle tattiche, il gruppo “Abbattiamo il recinto” è riuscito ad eludere la polizia per poter mettere in atto tutti i tipi di azione diretta, tra cui le azioni del Black Bloc, così ampiamente amplificate dai media. Il messaggio era chiaro: la vostra miliardaria operazione di sicurezza non ci impedirà di manifestare o di sfidare i simboli del capitalismo. Oltretutto, l’evento ha avuto successo. Il centro finanziario di Toronto era completamente bloccato e la gente poteva manifestare in barba alla polizia.

Repressione
L’azione della polizia era iniziata ben prima della manifestazione. Da un lato, le aree pubbliche di Toronto erano del tutto militarizzate e la presenza della polizia era asfissiante. Dall’altro, i servizi di sicurezza avevano provocato gli attivisti per mesi, ricorrendo agli infiltrati in alcuni gruppi e vi erano stati arresti preventivi di militanti chiave nella notte tra venerdì e sabato. Una situazione già difficile, con controlli dei documenti, pedinamenti e provocazioni varie, si era fatta molto pesante nel pomeriggio di sabato. Prendendo a pretesto il caos nel centro della città e le azioni del black bloc, la polizia ha deciso di vaporizzare chiunque fosse a portata di mano. All’improvviso non c’era più un’area autorizzata per le manifestazioni. Era sufficiente essere giovani ed avere l’aria di uno che va per manifestazioni per essere arrestati (come possono confermare da malcapitati molti giornalisti e molti passanti). Non vi era più nessuna garanzia di sicurezza in nessun posto. Ci sono state incursioni in abitazioni private, invasa la periferia, bloccati auto e autobus ed i loro occupanti arrestati, ecc. Ogni scusa era buona per arrestare la gente e per spezzare il movimento. In 2 giorni e 2 notti più di 900 persone sono state arrestate, spesso brutalmente, dando luogo alla più grande ondata di arresti che il Canada ricordi nella sua storia recente. Dopo essere stati umiliati e detenuti per ore in vere e proprie gabbie, spesso senza poter comunicare col mondo esterno, la stragrande maggioranza degli arrestati (più di 700) è stata rilasciata senza imputazioni, il che conferma l’arbitrarietà dell’azione della polizia.

Solidarietà
E’ stato un onore essere con tutti gli altri alla manifestazione. In questo weekend lo Stato ha mostrato il suo vero volto, ma l’azione repressiva della polizia si è rivelata un fiasco in termini di pubbliche relazioni per le forze della repressione, e giustamente. Indipendentemente dal fatto che si fosse o no a Toronto, migliaia di persone sono rimaste disgustate da quello che hanno visto. Ma non si commetta l’errore di credere che è finita qui. Non dobbiamo dimenticarci dei nostri compagni ancora in carcere nell’Ontario. Ecco perché abbiamo lanciato l’appello per l’1 luglio di una manifestazione di massa e di solidarietà con le vittime della repressione politica durante il vertice del G20 indetta dal CLAC-2010.


Ufficio Stampa

Union Communiste Libertaire
30 giugno 2010

Traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali.

Nota: sul nostro sito testimonianze oculari dei militanti dell’UCL arrestati a Toronto:

Link esterno: http://www.causecommune.net

martedì 6 luglio 2010

ZURIGO, MESSAGGIO DEGLI OPERAI INNSE A QUELLI DELLA TEKEL

ZURIGO, MESSAGGIO DEGLI OPERAI INNSE A QUELLI DELLA TEKEL


Ieri sera all'assemblea a Zurigo, è stato presentato questo messaggio
di solidarietà dei "gruisti" della INNSE agli operai Turchi della TEKEL:

Vi ringraziamo di averci messo fra i simboli della resistenza operaia contro gli
attacchi dei padroni e dello Stato. Siamo ben poca cosa rispetto alla massa operaia
della TEKEL, alle officine di Bellin­zona e tanti altri. La INNSE dalla grande
fabbrica che era, attraverso ristrutturazioni, ammortizza­tori sociali si era ridotta
ad una fabbrica con poche decine di operai. L’ultimo padrone pensava di spazzarci via
senza problemi. Si è trovato davanti una comunità operaia irriducibile, che ha
resistito per 17 mesi ed infine è il padrone che ha dovuto cedere, la fabbrica è oggi
in attività, la comunità operaia è sempre più forte.

La cosa più importante non è aver salvato il posto di lavoro, siamo sempre operai,
schiavi moderni di un padrone, la cosa più importante è aver imparato praticamente
alcune cose, che troviamo nelle vostre stesse lotte e che ci danno la sensazione di
essere parte di una classe che esiste in tutti i paesi, ha gli stessi interessi, gli
stessi nemici.

Abbiamo capito dall’inizio che come operai eravamo soli, nel momento in cui occupammo
la fab­bri­ca, continuando a lavorare contro la decisione del padrone, ci presero per
pazzi, mettevamo in discussione la proprietà privata. La magistratura ci fece mettere
fuori dalle forze di polizia e ri­con­segnò la fabbrica in mano al padrone e capimmo
che la legge non era al di sopra delle parti ma stava con il padrone. Per mesi,
giorno e notte, abbiamo presidiato lo stabilimento ed ogni voLta che il padrone
accompagnato dalla polizia ha tentato di smontare il macchinario ci ha trovati pronti
ad impedirglielo. Ogni volta uno scontro. Alla fine, ad agosto del 2009 erano più di
500 poliziotti, ma noi davanti ai cancelli e sulla gru abbiamo resistito e vinto
questa prima battaglia. Li abbiamo messi davanti ad una scelta o ci piegavano
schiacciandoci con la forza e avrebbero pa­gato un prezzo politico elevato nella
crisi oppure si trovava la soluzione per far ripartire la INNSE. Così è stato.

In tanti pensano che eravamo forti perché l’opinione pubblica era con noi, i partiti
ci sostenevano, il sindacato pure. Non è vero. Alla fine l’opinione pubblica era con
noi perché NOI eravamo forti, noi abbiamo agito come un partito operaio informale che
prendeva decisioni in proprio, il sindacato uf­ficiale ci ha sostenuto perché sapeva
che se voleva chiudere la fabbrica con i soliti accordi sugli am­mor­tizzatori
sociali non sarebbe passato. Ha capito che come operai facevamo sul serio. Ci siamo
rifiutati di essere usati dal partiti per farsi pubblicità. La nostra determinazione
ha conquistato invece l’appoggio incondizionato di studenti, militanti che hanno
seguito le nostre scelte di lotta, ma mai ci hanno sostituito nelle prime file. O
sono gli operai che si ribellano o nessuno potrà farlo per loro.

Nella crisi delle fabbriche abbiamo anche sperimentato che le solite proteste non
bastano, che biso­gna reagire duramente, in fondo sono i padroni che hanno prodotto
la crisi, a loro bisogna chiederne il conto. Cosa dimostra la crisi se non che il
loro sistema ha fatto il suo tempo e ci chiediamo: non è forse il tempo degli operai?
E il fatto che in diversi paesi si manifesta una resistenza operaia acca­nita, che si
sta collegando, non indica forse che è venuto il tempo di pensare ad una nuova
interna­zionale operaia per una lotta comune contro i padroni in tutti i paesi?

Cosa fare, come affrontare le prossime lotte, come stabilire legami stabili sono
problemi che af­fronteremo. Oggi è già un grande risultato incontrarsi come operai
ed iniziarne a discutere. A Zurigo non potremmo esserci ma siatene certi, vogliamo
essere con voi in tutte le decisioni che prenderete.

Per piegare una resistenza ci vuole la forza, ma se la resistenza resiste sarà la
forza a spezzarsi.

Un saluto dai gruisti della INNSE.
Milano, 30 giugno 2010