mercoledì 28 dicembre 2011

Anarchici e socialisti rivoluzionari sotto attacco in Egitto

Ci siamo! Per
settimane, parecchi siti internet e pagine
facebook che appartengono
ai Fratelli Musulmani, sia in forma ufficiale che ufficiosa, hanno
sferrato un attacco contro gli Anarchici ed i Socialisti Rivoluzionari
in Egitto cercando di additarli come istigatori della violenza e
propagandisti della demolizione dello Stato. Il 28 dicembre un
esponente dei Fratelli Musulmani ha denunciato tre socialisti, uno dei
quali è il compagno Yaser Abdel Kawy, anarchico molto conosciuto ed
esponente del Movimento Socialista Libertario egiziano. Il Procuratore
Generale ha inoltrato la denuncia al GA, un apparato di sicurezza dello
Stato, un organo speciale del sistema giudiziario che funziona solo in
stato d'emergenza.


Sicuramente c'era da aspettarselo. Anche se
minoritari nei numeri, gli Anarchici egiziani sono stati alquanto
determinanti all'interno delle forze rivoluzionarie che hanno dato
inizio alla rivoluzione egiziana del 25 gennaio 2011. Gli Anarchici
sono una voce ben distinguibile sui siti dei social media, ma, cosa ben
più importante, essi sono sempre in prima linea sulle strade ovunque i
rivoluzionari si trovino ad affrontare il brutale giro di vite impresso
dallo Stato.

L'allenza forte, ma tutt'altro che facil,e tra Fratelli
Musulmani e giunta militare al governo si è mostrata per quella che è
fin dal principio. I Fratelli Musulmani sono la sola forza politica che
aveva uno dei suoi esponenti all'interno del comitato legislativo
responsabile dei preparativi per le modifiche della Costituzione del
1971, come approvati dal referendum svoltosi il 19 marzo. I Fratelli
Musulmani si sono rifiutati di partecipare a quasi tutte le
manifestazioni fatte contro il Consiglio Supremo delle Forze Armate
(SCAF), ed in molti casi hanno cercato di offuscare queste
manifestazioni e di attaccare chi le organizzava.

I Fratelli Musulmani
hanno anche assunto un atteggiamento aggressivo contro i lavoratori
impegnati in continue lotte contro gli imprenditori, i quali trovano
appoggio nella giunta militare. Hanno sempre condannato i cortei
sindacali, i sit-in o le occupazioni, descrivendo i lavoratori che
lottano per i loro diritti come dei contro-rivoluzionari sobillati dai
seguaci del regime di Mubarak.

Pronti per una vittoria a valanga nelle
attuali elezioni parlamentari insieme con i più estremisti Islamisti
Salafiti, i Fratelli Musulmani non vedono l'ora di sbarazzarsi della
futura opposizione ed in particolare di quella socialista. Non è
difficile capirne il perchè se si guarda alle politiche che essi stanno
attuando in Tunisia una volta preso possesso dei seggi parlamentari. La
cosa risulta ancora più evidente quando si leggono le dichiarazioni
fatte ai media dai loro dirigenti più importanti (per lo più uomini
d'affari), specialmente quelle in cui vengono lodate le politiche
economiche e finanziarie neoliberiste del regime di Mubarak come buone
ed efficaci, salvo essere mondate dalla corruzione e dal capitalismo di
combine.

Noi siamo certi che questi nuovi attacchi da parte dello SCAF
e dei suoi alleati Islamisti non sono che all'inizio. Si sta delineando
una nuova fase della Rivoluzione Egiziana. Questa volta la vera linea
di demarcazione dello scontro sarà evidente per tutti, dopo esserlo
stata solo per alcuni. La Rivoluzione Egiziana assumerà il vero volto
di una guerra di classe di noi proletrari contro di loro, loro i
padroni, loro la giunta militare, loro gli Islamisti fascisti e
conservatori.

Libertarian Socialist Movement in Egypt
(traduzione a
cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali)

giovedì 22 dicembre 2011

E' ORA CHE ALTRI PAGHINO IL PREZZO DELLA LORO CRISI RIPRENDIAMOCI LA CITTA' RIPRENDIAMOCI TUTTO

E' ORA CHE ALTRI PAGHINO IL PREZZO DELLA LORO CRISI
RIPRENDIAMOCI LA CITTA'
RIPRENDIAMOCI TUTTO



FRONTE DEL PORTO
dalle caserme, all'acqua, ai trasporti… GOOD BUY ROMA!
In via del Porto Fluviale 12 c’è un enorme palazzo che fu un deposito merci del ministero della difesa. Dopo anni di abbandono è stato occupato, quasi nove anni fa, da centinaia di persone in grave emergenza abitativa che con tanto lavoro lo hanno trasformato in altrettante case e ne hanno fatto un luogo accogliente per sé, per le proprie famiglie e per tutti coloro che hanno avuto la fantasia e la curiosità di affacciarsi alla sala da thè, ad una mostra d’arte, una serata di musica dal vivo, ai corsi di cucina dal mondo, alle feste per grandi e bambini o al cineforum.
Con la delibera n°8/2010 del Comune di Roma, questa e altre 14 strutture tra caserme e forti (Boccea, Pietralata, Bravetta, Papareschi…) vengono fatte oggetto di un accordo tra Comune e Ministero della Difesa per la messa in vendita e il contestuale cambio di destinazione d’uso di questo patrimonio per risanare le casse di un ministero come quello della Guerra che non conosce crisi e vergogna.
Si tratta di un patrimonio inestimabile fatto di ettari ed ettari di terreno libero nel cuore della città nonché strutture appena dismesse che potrebbero essere immediatamente utilizzabili per i tanti bisogni di servizi e spazi pubblici in una metropoli sempre più cara, congestionata ed inaccessibile come questa in cui viviamo. La vendita delle caserme si va a sommare alle conseguenze del Piano “regalatore” di cemento, alle speculazioni che sono via via calate sulla città dai mondiali di nuoto, alle torri dell’ex ministero delle finanze all’eur o l’ex Fiera di Roma… fino al prossimo pacchetto da 35 delibere di deroghe urbanistiche che il Comune di Roma si appresta ad approvare.
Con il Governo Monti, paladino dell’austerity per tutti tranne che per palazzinari e banchieri, tornano alla ribalta i processi di dismissione del patrimonio pubblico: evidentemente il fallimento delle cartolarizzazioni volute da Tremonti che a tutti noi è costato 1,7 miliardi di euro per qualcun altro ha rappresentato un’occasione di lucro che è pronto a replicare.
Accettare la S –VENDITA (perché per il Comune si tratta proprio di due spicci) significa per l’ennesima volta permettere che la crisi economica e di sistema venga usata come grimaldello per l’attacco ai diritti e ai beni comuni a vantaggio dei profitti di pochi e di una crescente e permanente diseguaglianza sociale: dall’acqua controllata dall’Acea di parentopoli e che si oppone al nettissimo risultato referendario per l’acqua pubblica, dall’Atac che da un lato precarizza i lavoratori e dall’altro aumenta ad 1,50 euro il prezzo del biglietto, dalla sanità con ospedali, consultori e ASL che chiudono, al diritto all’abitare in una città con periferie sempre più estese e affitti improponibili, dalla formazione di ogni ordine e grado fino alla gestione dei rifiuti ostaggio dei soliti noti che ostacolano la scelta della raccolta differenziata e del riuso.
Ma ROMA NON E’ IN VENDITA!
Per questo invitiamo chi nel territorio dell’11° Municipio e nella città tutta si batte contro questo nuovo sacco di Roma e per difendere diritti, spazi pubblici e beni comuni, a ritrovarsi in questa piazza del “Natale Precario”. Dai comitati per l'acqua pubblica, ai comitati NoPup, ai movimenti per il diritto all’abitare, ai comitati che si battono contro il business delle discariche e degli inceneritori, fino a chiunque vuole conquistare e costruire un'altra città libera dalle speculazioni e dai palazzinari, a chiunque crede che riprendersi la città vuol dire anche ribellarsi alla crisi ed alla precarietà in cui vengono sempre più ingabbiate le nostre vite.
VENERDI’ 23 DICEMBRE
dalle ore 16.00
Piazza Enrico Fermi alias Piazza del Natale Precario
comunic –azione - giochi contro la crisi – teatro – musica
dalle ore 18.00 ASSEMBLEA PUBBLICA
voci contro la precarietà e le privatizzazioni

Promuovono: ABITANTI DEL PORTO FLUVIALE – COORDINAMENTO CITTADINO DI LOTTA PER LA CASA

giovedì 15 dicembre 2011

CANCELLANO IL CONTRATTO NAZIONALE E 40 ANNI DI CONTRATTAZIONE AZIENDALE. ALLE LAVORATRICI E AI LAVORATORI DEL GRUPPO FIAT SI NEGANO LE LIBERTÀ SINDACA

I eri senza la presenza della Fiom-Cgil al tavolo negoziale è stato siglato un accordo che porta le lavoratrici e i lavoratori fuori dal contratto nazionale di lavoro isolando i lavoratori e le lavoratrici del gruppo Fiat da tutti gli altri lavoratori metalmeccanici.

Questa intesa estende l'accordo di Pomigliano a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori del gruppo Fiat dopo che per oltre un anno era stato spiegato in tutti gli stabilimenti che mai sarebbe successo.

Dal 1 gennaio diventano automatici ed esigibili da parte della Fiat senza contrattazione i 18 Turni, 120 ore di straordinario obbligatorio che portano a 200 le ore annue di straordinario possibili, il taglio di 10 minuti di pausa, la pausa mensa spostata a fine turno, il mancato pagamento di almeno 2 giorni di malattia in caso di assenze superiori al 3,5% sullo stabilimento. Sanzioni ai lavoratori e ai rap-
presentanti sindacali.

Gli «sbandierati» incrementi salariali riguardano la paga oraria e sono dovuti alla risistemazione di voci già esistenti, non modificano sostanzialmente la retribuzione lorda e hanno effetti utili solo di fronte ad aumento dei turni e degli straordinari.

Niente di nuovo se lavori di più prendi di più «e ci mancherebbe ancora!». Nella stessa direzione va l'adeguamento dello straordinario al sabato. Il premio
straordinario di 600 euro per il 2012 è un «imbroglio»: totalmente legato alla presenza e all'effettiva prestazione di lavoro di non meno di 870 ore in sei mesi.

Quindi vengono considerate assenza:
par, ferie, mezz'ora di pausa, malattia, infortunio, maternità, donazione di sangue, legge 104, sciopero e tutti i permessi non retribuiti.
Tutto questo accade senza che le lavoratrici e i lavoratori siano stati informati del negoziato. Le assemblee si svolgeranno a «babbo morto» e dopo la firma. Alle lavoratrici e ai lavoratori non è stato chiesto alcun mandato per uscire dal Contratto nazionale e dai contratti aziendali.

Questo accordo cancella tutti gli accordi aziendali di ogni singolo stabilimento. Limita il diritto di sciopero e ad ammalarsi, limita la contrattazione dell'organizzazione del lavoro e degli straordinari, trasforma i delegati sindacali, di stabilimento, in «controllori» delle regole per conto dell’azienda, allontanandoli dalle lavoratrici e dai lavoratori.

La Fiom-Cgil non rinuncia al contratto nazionale di lavoro, non lascerà soli e isolati le lavoratrici e i lavoratori del gruppo Fiat, sosterremo e daremo voce a tutte le iniziative delle lavoratrici e dei lavoratori degli stabilimenti Fiat. Chiederemo ai lavoratori di eleggere comunque i nostri rappresentanti e difenderemo il diritto alla libera scelta del sindacato in tutte le sedi utili anche quelle legali.

Nei prossimi giorni decideremo altre iniziative utili a tenere aperta la vertenza che per noi continua.

Fiom-Cgil
www.fiom.cgil.it

mercoledì 7 dicembre 2011

sciopero dei lavoratori del Visconti Palace Hotel

Cari Compagni, i lavoratori e le lavoratrici del Visconti Palace Hotel, noto albergo di Roma sito in Via Federico Cesi 37 (Piazza Cavour) dietro il cinema Adriano, hanno iniziato ieri con tre ore di sciopero una lotta sindacale per contrastare la decisione assunta dall'azienda e comunicata al tavolo della Trattativa tenutosi presso Federalberghi Roma alla RSA e alla Filcams-CGIL, di esternalizzare i servizi di riassetto camere, guardaroba e facchinaggio, che riguardano complessivamente 26 lavoratori (su 75). Tale decisione, è stata giustificata dall'azienda come atto necessario per accedere al credito bancario attraverso la trasformazione dei costi fissi del personale in costi variabili.

Ricordiamo che il Visconti Palace Hotel non soffre nessuna situazione di crisi economica ma al contrario, come tutti gli anni, ha chiuso il suo bilancio ampiamente in attivo sfruttando la congiuntura economica favorevole che il Turismo soprattutto romano sta vivendo da diversi anni a questa parte. Infatti, rispetto all'anno passato, il Turismo a Roma, ha registrato un incremento del 9% di turisti. Ci sembra evidente che l'azione dell'azienda è mirata solamente a consolidare i profitti conseguiti e a liberarsi di lavoratori scomodi e sindacalizzati cedendoli a soggetti terzi. Contro la protervia dell'azienda l'RSA e la Filcams-CGIL hanno promosso per il giorno 13 dicembre una giornata di mobilitazione con conferenza stampa davanti al Visconti Palace Hotel che vedrà coinvolta la Filcams Regionale e la CGIL confederale. A questa giornata di lotta parteciperanno anche delegati e delegate dei settori del Turismo che verranno a dare la loro solidarietà e il loro contributo a sostegno delle ragioni dei lavoratori del Visconti Palace Hotel che non vogliono assolutamente essere ceduti ad altre aziende. Per questo vi chiedo di dare ampia diffusione di questa lotta e di contribuire venendo il 13 fuori del Visconti Palace per sostenere i lavoratori che stanno lottando.

Vi abbraccio.

Andrea Furlan

RSA Visconti Palace Hotel /Direttivo Filcams - CGIL Roma centro.

sabato 3 dicembre 2011

ASPETTANDO IL CIGNO NERO?

La Fed, Federal Reserve, banca centrale degli Stati Uniti, funziona come centro nevralgico del sistema finanziario e commerciale mondiale, essendo il dollaro la moneta dei pagamenti internazionali (65% del totale).
Quindi, per avere dollari tutte le banche del mondo devono rivolgersi alla banca USA. Infatti ne tengono una riserva presso la sede centrale.
Nel 2008 le banche USA detenevano 600 miliardi di dollari, quelle europee 200 miliardi; poi nel mese di agosto 2011 il deposito delle banche europee è arrivato a 750 miliardi, una liquidità eccessiva solo per le trattative commerciali.
Sempre ad agosto, mentre si dibatteva sul default del debito statale USA, la Fed annuncia un problema di liquidità in alcune banche europee e qui iniziano i rimbalzi degli spread e delle borse in Europa.

Abitualmente questi problemi si risolvono nel silenzio tombale dei centri bancari e si evidenziano mesi dopo la fine dell'indagine. Infatti solo da poche settimane si conosce il dato dell'intervento della Fed come sostegno di liquidità successivo all'implosione del 2009 e al crollo delle economie: si tratta di 16.000 miliardi di dollari in prestiti ad istituzioni finanziarie dal 2007 al 2010 (vedi rapporto del GAO [1]; quindi Fed come prestatore in ultima istanza di moneta da restituire a scadenza, fonte a cui hanno fatto ricorso certe banche europee, inclusa anche l'italiana Unicredit per quasi 2 anni.

Dunquel'annuncio della Fed serviva per distrarre l'attenzione dagli USA all'Europa, mentre in USA si mettevano a punto interventi ufficiali di immissione di liquidità per 2200 miliardi di dollari di QE [2] dal 2009 al 2011; di 700 miliardi dollari del programma governativo TARP [3] per l'acquisto di titoli; oltre ai 400 miliardi dell'operazione TWIST [4] sui bond a lunga scadenza.

L'effetto domino si è così spostato in Europa, dove le incertezze politiche stanno creando una situazione di difficile soluzione, che potrebbe evolversi in scenari imprevisti, semplicemente per mancanza di tempismo nelle soluzioni della governance europea; principalmente la signora Merkel.

Le insufficenze della BCE [5] impediscono le attività tipiche di una struttura il cui ruolo è quello di intervenire in emergenza, godendo di un potere "feudale", cioè arbitrario e insindacabile perchè non obbligata a norme di contabilità: il potere di stampare moneta, semplicemente di immettere liquidità nuova per sostenere il sistema delle banche o i titoli dello stato e solo in successive fasi ripristinare una massa di liquidità inferiore.

In rischio c'è l'inflazione dei prezzi che, però, in una situazione deflattiva funziona da controtendenza. Altra soluzione indiretta sta nel sostegno al sistema bancario a cui i prestiti, la liquidità, vengono concessi contro titoli come collaterali che servono da garanzia (financo i BTPj [6]).
Ma in questo momento la "liquidità scarseggia", il che non significa che non ci siano soldi/risparmi, ma semplicemente questi smettono di circolare e vengono tesaurizzati, anche presso la stessa BCE, al tasso dello 0,7% (circa 235 miliardi), mentre le banche smettono di far circolare prestiti non fidandosi che vengano rimborsati dalle banche a cui fare credito.

Anzi, grazie alla ricapitalizzazione decisa da EBA [7], si assiste alla vendità di investimenti per fare cassa. Quindi, il 30 novembre, la Fed -con l'accordo di altre banche centrali- ha garantito di dare prestiti in dollari a tassi bassissimi ed a breve(3 mesi), legati al commercio mondiale, per evitare che si innestasse l'effetto domino in cui le banche europee, per fare cassa, si mettono a vendere assets degli USA, spostando quindi lì il problema.

Nel mentre, in Cina si abbassa il tasso di sconto e si diminuisce la riserva detenuta dalle banche sui prestiti, anche se i prestiti nell'area sono solo 3 volte le riserve e quindi il rischio sgonfiamento della bolla non avrebbe gli effetti che ha in altre aree; anche se un rallentamento del PIL al 9% potrebbe essere causa di problemi economici per un paese che per realizzare l'utilizzo degli investimenti e per soddisfare il mercato del lavoro deve crescere a ritmi maggiormente elevati, altrimenti maturerebbero conflitti sociali di maggior estensione.
La crisi finanziaria si manifesta come epifenomeno di problemi della sfera "reale", ma spesso anticipandoli nel ciclo economico futuro; quindi gli spasmi borsistici e del debito si legano alla consapevolezza che la produzione sta rallentando e che -nelle previsioni di un PIL calante o in recessione- i profitti futuri sono in forse.

Quindi la concorrenza diventa spietata nel presente anche per trovare nicchie su cui lucrare immediatamente, spesso costruendo profitti nelle oscillazioni dei trend borsistici in cui si entra e da cui si esce a giorni alterni; oppure nelle fluttuazioni dei titoli di stato il cui rendimento futuro si va a costruire oggi. Sempre che non si verifichi il "cigno nero" [8], l'imprevisto che nessuno vuole, ma che l'inezia costruisce.

3 dicembre 2011 Ufficio Studi - FdCA

[1] GAO: Government Accountability Office, agenzia di verifica contabile del Congresso degli Stati Uniti
[2]QE: Quantitative Easing, una delle modalità con cui avviene la creazione di moneta da parte della banca centrale e la sua iniezione, con operazioni di mercato aperto, nel sistema finanziario ed economico; gli USA ne hanno fatti 2 in 3 anni (1600 mld + 600 mld)
[3]TARP: Troubled Asset Refief Program
[4]TWIST: da twisting of funds (spostamento di fondi), operazione della Fed
(5]BCE: Banca Europea
Centrale
[6]BTPj: unico tipo di BTP ad essere indicizzato ed ad essere usato come collaterale
[7]Europan Banking Authority, costituita dal Parlamento Europeo nel 2010
[8]cigno nero: colore dei cigni in Australia che suscitano stupore ai tempi

venerdì 25 novembre 2011

Comunicato internazionale libertario di solidarietà con la lotta popolare egiziana

Il fine settimana del 19-20 novembre ha visto una nuova ondata di protesta di massa in tutto Egitto a causa della violenza sistematica del Consiglio Supremo delle forze armate (CSFA) contro le masse egiziane. La gente è stanca del comportamento dittatoriale del CSFA, dell'uso della forza estrema contro i manifestanti, dei tribunali militari che in 10 mesi hanno mandato 12.000 compagni e compagne a marcire nelle carceri, della censura, della tortura, rapimenti e perfino dell'eliminazione fisica selettiva di attivisti. La gente è stanca del fatto che il consiglio militare continua a dirottare la rivoluzione, per mantenere la vecchia dittatura con altri mezzi. La gente è stanca del settarismo che il CSFA genera per distogliere ldei a nostra attenzione dalla vera lotta per la giustizia, per l'uguaglianza, per la libertà.

L'imperialismo ha decretato una "transizione ordinata" alla democrazia in Egitto. L'esercito si è dimostrato obbediente nel rendere effettivo questo disegno. Il popolo egiziano esige la fine della dittatura e lo sradicamento di ogni vestigia dell'odiato regime di Mubarak. La gente in Egitto vuole sentire, finalmente, che il paese è gestito da loro, per loro.

Gli anarchici in Egitto, e con loro il movimento internazionale di solidarietà con i rivoluzionari libertari, danno il loro incondizionato sostegno alla giusta lotta del popolo egiziano perché esso continui la rivoluzione, e deplorano il massacro dei manifestanti, che dimostra che il CSFA non è diverso da Mubarak in alcun modo.

A differenza di altri settori che ancora nutrono illusioni sulla democrazia borghese, noi crediamo che la democrazia e lo Stato siano incompatibili. La vera democrazia si è vista quando il popolo egiziano ha formato dei comitati popolari che hanno gestito le proprie comunità, le proprie città, le proprie attività, dal basso verso l'alto. Noi facciamo appello perché questi comitati popolari si potenzino, perché il paese venga decentralizzato, perché ogni singola posizione politica sia revocabile da parte dei comitati qualora i detentori non eseguano il mandato popolare.

Crediamo inoltre che le aspirazioni alla democrazia siano incompatibili con il sistema capitalista, che si basa sul controllo da parte dell'elite dell'economia e dei mezzi di vita, condannando alla morte per fame ogni giorno ben 25.000 esseri umani. La vera democrazia è possibile solo quando l'intera società gestisce democraticamente l'economia e l'industria di una nazione. Perché questo sia possibile, è necessaria la proprietà collettiva della terra e delle industrie nonché la loro gestione diretta da parte degli operai e dei contadini stessi. Finché i pochi continuino a controllare la ricchezza del mondo, i pochi avranno sempre il potere sulla maggioranza. Il mercato libero è solo una forma più sottile della dittatura.

Facciamo appello, dunque, perché i sindacati e i lavoratori svolgano un ruolo di guida nella lotta attuale, perché vengano occupati i luoghi di lavoro, perché questi vengano trasformati in cooperative dei lavoratori e perché si prepari la completa autogestione dell'economia egiziana.

La crisi in Egitto non si risolverà con delle soluzioni tiepide e incerte. Serve l'impegno della gioventù, delle donne, della classe lavoratrice perché si poss sradicare ogni germe di tirannia e violenza nel nostro paese: il sistema capitalista e lo Stato. Uniamoci tutti e tutte sotto la bandiera della lotta contro il governo militare, ma difendiamo l'alternativa rivoluzionaria e libertaria per le masse egiziane.

25 novembre 2011


Movimento Socialista Libertario (Egitto)
Federazione dei Comunisti Anarchici (Italia)
Organisation Socialiste Libertaire (Svizzera)
Workers Solidarity Movement (Irlanda)
Zabalaza Anarchist Communist Front
(Sud Africa)
Workers Solidarity Alliance
(USA)
Confederación Sindical Solidaridad Obrera
(Spagna)
Grupo Libertario Vía Libre
(Colombia)
Centro de Investigación Libertaria y Educación Popular
(Colombia)
Instituto de Ciencias Económicas y de la Autogestión
(Spagna)
Federación Comunista Libertaria (Cile)

lunedì 14 novembre 2011

E' finito il neoliberismo? Tutti a casa?

Decenni di sciaugurato neoliberismo stanno presentando il conto alle
economie occidentali.
Decenni di tagli ai salari, di privatizzazioni, di tagli ai servizi
pubblici, di spostamento della ricchezza dalla produzione alla finanza
stanno presentando il conto agli stati.
Per decenni è stata raccontata la favola che il mercato arricchissse
tutti,che tutti si potessero permettere tutto, che la Borsa, novello
albero degli zecchini, fosse lo strumento giusto per permetterci una
serena vecchiaia dopo una vita lavorativa precaria.
E in questi decenni l'accumulazione capitalistica è stata sempre più
rapida e vorace, ha rosicchiato profitti ovunque, ha minato tutele, ha
messo le mani sui beni comuni, la ricchezza si è sempre più
concentrata,la forbice si è allargata, sempre meno persone hanno
sempre di più, sempre più persone hanno sempre di meno. Meno reddito,
meno diritti, meno lavoro.
E adesso che sta arrivando il conto, rispuntano gli Stati. Chiamati a
rispondere del proprio debito pubblico, chiamati a sostenere le
banche, sistemiche o no, chiamati a far ingoiare, a forza se
necessario, ai propri cittadini
misure draconiane invocate necessarie per la stabilità dei mercati
(ma i mercati stabili non guadagnano, i mercati per essere stabili
devono crescere). E se i politici locali non sono abbastanza bravi, la
finanza presta alla politica direttamente i propri uomini,
Inutile ergersi tutti a esperti finanziari e affannarsi a trovare la
cura per salvare il capitalismo da se stesso: il capitalismo si
salverà, a spese nostre nelle sue intenzioni, e alla fine della crisi
la forbice sarà ancora più larga. Si salverà se la BCE inietterà
liquidità per salvare le banche e rassicurare i mercati, si salverà se
la Grecia e magari l'Italia andranno in default, controllato o meno,
se ridurranno parzialmente i debiti o se usciranno dall'euro e
ricomiceranno a battere moneta sovrana.
I costi di tutte queste operazioni saranno pagati da tutti noi, da chi
lavora, dagli studenti, dai migranti, dall'anello debole di questa
catena che non sarà mai forte finchè non la spezzerà.
Siamo noi a doverci salvare, a difenderci dall'esproprio capitalistico
e da una politica, forte dei propri interessi, sempre disposta a
difendere i forti contro i deboli, i ricchi contro i poveri.
Dobbiamo dire che i soldi ci sono, bisogna andarli a prendere a chi ce
li ha, e poi bisogna darli non alle banche, ma ai lavoratori e ai
disoccupati, che scuola, sanità, ambiente vanno potenziati e non
finiti di distruggere, che i tagli sono necessari, si, ma nelle fasce
alte delle gerarchie, che sono i dirigenti, i manager, i politici, che
sono coloro che hanno coscientemente guidato questa situazione, e non
nelle fasce più basse, a colpire quelli che continuano a salvare il
salvabile, a far funzionare la baracca, a garantire i servizi minimi.
Ricette troppo semplici? Forse, ma noi anarchici sappiamo che non sarà
lo Stato a difenderci dal Capitale, sappiamo che solo
l’autorganizzazione e la lotta possono cambiare quello che sembra un
destino ineludibile, il baratro della miseria che poi è semplicemente
il baratro dell’ingiustizia, e invertire questa nefasta spirale con
le armi della solidarietà e dei diritti.

14 novembre 2011

Segreteria Nazionale della Federazione dei Comunisti Anarchici

sabato 12 novembre 2011

17 NOVEMBRE SCIOPERO GENERALE

17 NOVEMBRE SCIOPERO GENERALE
Indetto da CUB, COBAS, COMITATO IMMIGRATI E STUDENTI

BASTA SACRIFICI!
UNIAMO LE LOTTE DEI LAVORATORI
ADERIAMO ALLO SCIOPERO GENERALE DEL 17 NOVEMBRE

Il governo Berlusconi ha deciso di varare, come ultimo atto prima delle dimissioni del premier, la famigerata legge di stabilità (o Finanziaria), in ossequio ai diktat dell’Unione Europea, della Banca Centrale e del Fondo Monetario Internazionale. Si tratta dell’ennesima manovra lacrime e sangue, che smantellerà definitivamente quel poco che resta dei servizi pubblici, dello stato sociale, dei diritti dei lavoratori. Le dimissioni di Berlusconi non configurano un cambio di rotta: sia che si vada a nuove elezioni, sia che si inauguri un “governo tecnico”, le intenzioni di Confindustria e dei padroni sono chiare: tutti i partiti del centrodestra e del centrosinistra intendono rispettare i dettami dell’UE, a partire dal pagamento del debito. Per questo, si annunciano per i lavoratori e per i giovani studenti misure ancora più drastiche: lo scenario della Grecia è sempre più vicino.

Ma, mentre in Grecia i lavoratori hanno già proclamato decine di scioperi generali unitari e prolungati (con assedi reali, e non meramente mediatici, dei palazzi del Potere da parte dei lavoratori in lotta), in Italia la mobilitazione stenta a crescere. Da un lato le burocrazie di Cgil, Cisl e Uil stringono accordi con la Marcegaglia e con il governo, dall’altro lato il sindacalismo di base si rivela incapace di rappresentare una valida alternativa: il settarismo dei gruppi dirigenti ha fino ad oggi impedito di colmare il vuoto sindacale a sinistra della Cgil. Lo sciopero generale del sindacalismo di base del 17 novembre, indetto da Cub, Cobas e Comitato Immigrati in Italia, può diventare l’occasione per indire un nuovo grande sciopero unitario del sindacalismo conflittuale. Per questo, riteniamo grave la decisione dell’Esecutivo nazionale di Usb di non aderire allo sciopero e di convocare un proprio “sciopero generale” separato il 2 dicembre. Si tratta di una scelta autoreferenziale, che dimostra una volta di più che i vertici di Usb antepongono la difesa del proprio orticello alla necessità di costruire una reale risposta unitaria della classe lavoratrice in risposta a questo attacco senza precedenti imposto dal governo, da Confindustria e dall’Europa dei banchieri. In questo momento economico e sociale, è necessario unire le lotte, non dividere i lavoratori, proclamando due scioperi generali in date diverse: i lavoratori non scioperano per fare un piacere ai sindacati, ma per strappare risultati e respingere gli attacchi del governo e dei padroni!

Unire le lotte – Area Classista Usb fa appello sia all’Esecutivo nazionale di Usb sia a tutte le strutture territoriali di Usb e degli altri sindacati (a partire dalla Fiom) ad aderire allo sciopero del 17 novembre, per trasformare questa giornata in un grande sciopero generale in grado di rispedire al mittente la manovra finanziaria.

* No al pagamento del debito! No ai diktat dell’Unione Europea, della Bce e dell’Fmi!
* No alla messa in discussione dei contratti collettivi, del diritto di sciopero, dell'articolo 18!
* Ritiro dei tagli, già effettuati negli anni scorsi (anche dal centrosinistra), alla Scuola, alla Sanità, alla Cultura!
* Assunzione a tempo indeterminato per tutti i lavoratori precari!
* Scala mobile dei salari e delle ore lavorative: lavorare meno, lavorare tutti e a salari dignitosi!
* No ai limiti imposti alle pensioni di anzianità: 35 anni di lavoro e 60 anni di età sono più che sufficienti per consentire un ricambio generazionale nei posti di lavoro!
* Parità di condizioni salariali e lavorative per lavoratori immigrati e nativi!
* Esproprio sotto controllo dei lavoratori delle banche e delle industrie che licenziano, che mettono i lavoratori in cassa integrazione, che minacciano di trasferire la produzione all'estero!
* Solidarietà alle rivoluzioni in Nord Africa e Medio Oriente! Solidarietà agli indignados, alle lotte in Grecia, Spagna, Portogallo, Stati Uniti, Cile!

Unire le lotte – Area Classista Usb

www.sindacatodiclasse.org

unirelelotte@sindacatodiclasse.org

martedì 1 novembre 2011

Alla maniera di Noam Chomsky vengono descritte le “10 Strategie della Manipolazione” sociale attraverso i mass media.

1 - La strategia della distrazione. L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche utilizzando la tecnica del diluvio o dell’inondazione di distrazioni continue e di informazioni insignificanti.
La strategia della distrazione è anche indispensabile per evitare l’interesse del pubblico verso le conoscenze essenziali nel campo della scienza, dell’economia, della psicologia, della neurobiologia e della cibernetica. “Sviare l’attenzione del pubblico dai veri problemi sociali, tenerla imprigionata da temi senza vera importanza. Tenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza dargli tempo per pensare, sempre di ritorno verso la fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).



2 - Creare il problema e poi offrire la soluzione. Questo metodo è anche chiamato “problema - reazione - soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” che produrrà una determinata reazione nel pubblico in modo che sia questa la ragione delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, oppure organizzare attentati sanguinosi per fare in modo che sia il pubblico a pretendere le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito delle libertà. Oppure: creare una crisi economica per far accettare come male necessario la diminuzione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.

3 - La strategia della gradualità. Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, col contagocce, per un po’ di anni consecutivi. Questo è il modo in cui condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte negli anni ‘80 e ‘90: uno Stato al minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione di massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.

4 - La strategia del differire. Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria” guadagnando in quel momento il consenso della gente per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro di quello immediato. Per prima cosa, perché lo sforzo non deve essere fatto immediatamente. Secondo, perché la gente, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. In questo modo si dà più tempo alla gente di abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo con rassegnazione quando arriverà il momento.

5 - Rivolgersi alla gente come a dei bambini. La maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, spesso con voce flebile, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente. Quanto più si cerca di ingannare lo spettatore, tanto più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se questa avesse 12 anni o meno, allora, a causa della suggestionabilità, questa probabilmente tenderà ad una risposta o ad una reazione priva di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).

6 - Usare l’aspetto emozionale molto più della riflessione. Sfruttare l'emotività è una tecnica classica per provocare un corto circuito dell'analisi razionale e, infine, del senso critico dell'individuo. Inoltre, l'uso del tono emotivo permette di aprire la porta verso l’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o per indurre comportamenti….

7 - Mantenere la gente nell’ignoranza e nella mediocrità. Far si che la gente sia incapace di comprendere le tecniche ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza creata dall’ignoranza tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare da parte delle inferiori" (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).

8 - Stimolare il pubblico ad essere favorevole alla mediocrità. Spingere il pubblico a ritenere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti...

9 - Rafforzare il senso di colpa. Far credere all’individuo di essere esclusivamente lui il responsabile della proprie disgrazie a causa di insufficiente intelligenza, capacità o sforzo. In tal modo, anziché ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e si sente in colpa, cosa che crea a sua volta uno stato di depressione di cui uno degli effetti è l’inibizione ad agire. E senza azione non c’è rivoluzione!

10 - Conoscere la gente meglio di quanto essa si conosca. Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno creato un crescente divario tra le conoscenze della gente e quelle di cui dispongono e che utilizzano le élites dominanti. Grazie alla biologia, alla neurobiologia e alla psicologia applicata, il “sistema” ha potuto fruire di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia fisicamente che psichicamente. Il sistema è riuscito a conoscere l’individuo comune molto meglio di quanto egli conosca sé stesso. Ciò comporta che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un più ampio controllo ed un maggior potere sulla gente, ben maggiore di quello che la gente esercita su sé stessa.

venerdì 14 ottobre 2011

Comunicato dell’Assemblea cittadina: Dichiarazione dell’occupazione della città di New York

04/10/2011

Quando ci riuniamo in maniera solidale per esprimere il sentimento d’ingiustizia sociale non dobbiamo perdere di vista ciò che ci ha unito. Scriviamo questo, affinché tutte le persone che si sentono trattate ingiustamente dal potere delle corporazioni mondiali sappiano che siamo loro alleati.

Come un solo popolo, unito, riconosciamo la realtà: che il futuro degli esseri umani richiede la cooperazione di tutti i suoi membri; che il nostro sistema deve proteggere i nostri diritti, e che data la sua corruzione, tocca ad ogni individuo proteggere i propri diritti e quelli dei suoi vicini; che un governo democratico ottiene il suo potere legittimo dal popolo, ma le società finanziarie non richiedono il consenso del popolo per estrarre ricchezze dalle persone e dalla Terra; che non è possibile la vera democrazia quando il processo è determinato dal potere economico.

Ci rivolgiamo a voi in un tempo in cui le società finanziarie che antepongono il profitto alle persone, il proprio interesse alla giustizia e l'oppressione all'equità, dirigono i nostri governi. Ci siamo riuniti qui pacificamente, com’è nostro diritto, per far conoscere questi fatti.

Si sono presi le nostre case attraverso un processo d’esecuzione ipotecaria illegale, nonostante non avessero l'ipoteca originale.

Hanno beneficiato impunemente d’operazioni di salvataggio finanziario a spese dei contribuenti, e continuano a remunerare i loro dirigenti con indennità esorbitanti.

Hanno perpetuato la disuguaglianza e la discriminazione sul lavoro basate sull'età, il colore della pelle, il sesso, l'identità e l'orientamento sessuale.

Hanno avvelenato gli alimenti con negligenza e hanno minato alla base il sistema agricolo mediante la monopolizzazione.

Hanno tratto profitto dalla tortura, dalla prigionia e dal trattamento crudele di un numero infinito di animali, occultando attivamente tali pratiche.

Hanno cercato in maniera incessante di scalzare il diritto dei lavoratori a negoziare migliori salari e condizioni di lavoro più sicure.

Hanno tenuto gli studenti in ostaggio mediante decine di migliaia di dollari di debiti nel settore educativo, sebbene l'educazione sia in se stessa un diritto umano.

Hanno terziarizzato sistematicamente il lavoro ed utilizzato tale sistema per far leva sui tagli all’assistenza sanitaria ed ai salari dei lavoratori.

Hanno esercitato pressioni sui tribunali per ottenere gli stessi diritti delle persone, ma senza le responsabilità associate.

Hanno speso milioni di dollari in squadre d’avvocati che cercassero i modi per sbarazzarsi delle assicurazioni sanitarie dei lavoratori.

Hanno venduto la nostra sfera privata come merce.

Hanno usato le forze militari e la polizia per ostacolare la libertà di stampa.

Si sono rifiutati deliberatamente di ritirare dal commercio prodotti difettosi rischiosi per la vita, a beneficio del loro profitto.

Determinano le politiche economiche, nonostante i risultati catastrofici che quelle politiche hanno prodotto e continuano a produrre.

Hanno donato grandi somme di denaro a politici responsabili di regolamentare le loro attività.

Continuano a bloccare lo sviluppo di energie alternative per mantenerci dipendenti dal petrolio.

Continuano a bloccare le medicine generiche che potrebbero salvare la vita di persone o procurarvi sollievo, per proteggere investimenti che hanno già prodotto notevoli profitti.

Hanno occultato deliberatamente riversamenti di petrolio, incidenti, falsa contabilità e uso di principi farmacologici inattivi, a beneficio del loro profitto.

Attraverso il controllo dei mezzi d’informazione mantengono di proposito la gente disinformata e ne alimentano le paure.

Hanno accettato accordi privati per assassinare detenuti, perfino in presenza di seri dubbi circa la loro colpevolezza.

Hanno perpetuato il colonialismo in patria ed all'estero.

Hanno partecipato alla tortura e all'assassinio di civili innocenti in paesi stranieri.

Continuano a creare armi di distruzione di massa, allo scopo di ottenere contratti col governo.

Ai popoli del mondo:

Noi, Assemblea Generale della città di New York che sta occupando Wall Street in Liberty Square, vi sollecitiamo a far valere il vostro potere.

Esercitate il vostro diritto di riunione pacifica; occupate lo spazio pubblico; create processi per occuparvi dei problemi che affrontiamo e generare soluzioni accessibili a tutti.

A tutte le comunità che passano all'azione e formano gruppi nello spirito della democrazia diretta, offriamo il nostro appoggio, documentazione e tutte le risorse a nostra disposizione.

Unisciti a noi e fai ascoltare la tua voce.

Questi reclami non ne escludono tanti altri.

Documento originale: nycga.cc/2011/09/30/declaration-of-the-occupation-of-new-york-city

Cartina delle città degli Stati Uniti che si sono unite alla protesta:

https://maps.google.com/maps/ms?msid=212499632907169091415.0004ae2c16448638419d4&msa=0&ie=UTF8&t=m&vpsrc=0&ll=36.668419,-96.943359&spn=17.593031,21.884766&z=4&source=embed

domenica 9 ottobre 2011

"CON MATILDE, GIOVANNA, ANTONELLA, TINA E MARIA. LE NOSTRE VITE VALGONO DI PIÙ DEI VOSTRI AFFARI E COMPLICITÀ".

Una delegazione di lavoratrici, disoccupate del Movimento Femminista
Proletario Rivoluzionario da Taranto è andata ieri a Barletta, perchè, come
abbiamo detto ai vari giornalisti e tv, la morte delle 4 operaie e della
ragazzina Maria non è un "disastro", ma un assassinio che mette tragicamente
in luce una condizione delle donne operaie che per lavorare devono rischiare
anche di morire; è un assassinio che grida ribellione, giustizia, necessità
di unità e lotta non solo a Barletta ma per tutte le donne. Per questo era
giusto esserci a Barletta (benchè oltre la nostra non vi erano altre
presenze di lavoratrici da altre città).
Quando siamo arrivate, abbiamo trovato il primo grosso contrasto: da un lato
arrivavano da varie vie nella piazza A. Moro tanti spezzoni di gente che
sembravano quasi dei cortei, soprattutto gruppi di donne, la maggior parte
giovani, tante ragazze che portavano il loro dolore, calore, rabbia;
dall'altra una piazza resa volutamente ferma, silente dall'intreccio
apparati della Chiesa - tutti presenti ai massimi livelli e che hanno
imposto durante la cerimonia funebre un clima da "sepolcri imbiancati" - e
apparati delle forze dell'ordine.
Da un lato le operaie delle altre fabbriche tessili, le operaie della
fabbrica Vinci Shoes, una delle più grandi con 100 lavoratori, venute con il
loro striscione, che volevano stringersi intorno alle loro compagne uccise e
ai loro familiari, operai di fabbriche che erano usciti prima dal lavoro per
partecipare al funerale, ma anche commercianti che avevano tutti chiuso per
lutto, e poi migliaia e migliaia di persone, sicuramente più di 10 mila solo
nella piazza, ma vi era tante gente anche nelle strade laterali, in
particolare nelle 2 strade vicinissime alla piazza dove vi è stato il
crollo; da un lato i familiari, i parenti, le amiche delle 5 donne che
esprimevano la loro disperazione, ma anche, alcuni, la loro denuncia per
quelle morti annunciate. Dall'altra arrivavano quelli in "giacca e
cravatta":
gli amministratori con il sindaco di Barletta, complici, o forse di più, per
questi omicidi e giustificatori della "normalità" del lavoro in quelle
condizioni di tutto nero; arrivavano scortati i politici e rappresentanti
delle istituzioni regionali, Vendola, e nazionali, Carfagna; e uguali a
questi sono arrivati anche i segretari sindacali Bonanni e Camusso, che
hanno detto parole scontate. E l'ipocrisia è andata in scena!
"Vendola - ci ha detto un'operaia correggendo il nostro volantino - non è
vero che ha dato 200 mila euro a famiglia. Ha dato 200mila euro in tutto! E
poi per pagare il funerale e le spese dell'albergo dove ora stanno le
famiglie sgomberate dalle palazzine". Quindi, soldi dovuti (ci mancava anche
che le famiglie dovessero pagare), non certo un contributo di solidarietà
espressione di una politica "diversa" della Regione Puglia.

Intanto, le gerarchie della Chiesa all'inizio ogni 5 minuti facevano dal
palco appelli al "silenzio", quasi preoccupati che così non potesse essere.
Ma la stessa preoccupazione aveva la polizia, ed essa si è subito
manifestata verso la nostra delegazione che aveva aperto in piazza uno
striscione che diceva: "CON MATILDE, GIOVANNA, ANTONELLA, TINA E MARIA. LE
NOSTRE VITE VALGONO DI PIÙ DEI VOSTRI AFFARI E COMPLICITÀ". Striscione
davanti a cui si fermavano tante persone, donne, e soprattutto le operaie
della Vinci Shoes, operaie di altre fabbriche tessili, delegate sindacali,
per parlare, prendere il nostro volantino/messaggio, rimanere in contatto.
Ma quella scritta, "...le nostre vite valgono di più dei vostri affari e
complicità", guastava il clima di "silenzio-rassegnazione" imposto; ad un
certo punto è arrivata la polizia che si è accanita sullo striscione, ha
provato a strapparlo e poi a sequestrarlo, cercando anche di portare in
questura una compagna di Taranto. Solo la nostra ferma determinazione e
l'isolamento del dirigente della polizia dalle donne e persone vicine lo ha
impedito. Ma per far rimanere lo striscione nella piazza abbiamo dovuto
mettere dello shock sulla frase "pericolosa", benchè, come si può vedere da
alcune foto, la frase si leggeva bene lo stesso....

Con le operaie con cui abbiamo parlato, e nelle interviste rilasciate a Tv e
stampa locale e nazionale, abbiamo insistito sul fatto che queste morti sono
frutto sia della speculazione edile dei padroni, come della complicità del
Sindaco di Barletta - e, forse, anche più che complicità. Visto quanto sta
venendo fuori circa un piano esistente che prevedeva l'abbattimento di
quelle palazzine non per fare abitazioni e locali a norma, ma per farci
abitazioni di lusso; piano che potrebbe nascondere un intreccio
affari/tangenti.

Ma queste morti sono soprattutto frutto del lavoro nero. Chi in questi
giorni sta negando questo sbaglia, o volutamente in cattiva fede, o anche in
buona fede come alcuni familiari, lavoratrici, gente di Barletta.
Le 4 donne sono morte in quanto operaie, sono morte sul lavoro e per il
lavoro. Anche la piccola Maria è morta sul luogo di lavoro. E sono morte per
le condizioni di lavoro a "nero", che vuol dire taglio dei costi del lavoro,
del salario come dei costi per la sicurezza. Se le operaie non fossero state
in quelle condizioni, non si sarebbero neanche trovate in quel sottoscala a
lavorare quasi di nascosto, in locali con le crepe nei muri, senza via
d'uscita a norma, ecc., per gli affari del padroncino ma soprattutto per i
profitti delle 'Grandi marche'. Se non sono queste morti per il lavoro, cosa
sono? Non è sicuramente un caso che sono morte solo operaie e Maria che era
andata da loro. Chi nega il rischio mortale del lavoro nero, intrecciato con
la speculazione affaristica dei padroni edili e la mancanza di controlli di
Ispettorato, Asl, ecc., il menefreghismo, o connivenza delle Istituzioni, di
fatto, come sta facendo il sindaco di Barletta, lo vuole giustificare,
normalizzare, renderlo ordinario e scontato, accettabile come unica
prospettiva soprattutto al sud, soprattutto per le donne. Ma così non deve
essere!
Con le operaie abbiamo parlato della necessità, anche di fronte alla morte
di Giovanna, Matilde, Antonella, Tina, Maria - ma c'era stata un'altra morte
pochi giorni fa in Puglia tra le braccianti - dell'unità, della lotta, di
uno "sciopero delle donne", per dire Basta!, per sentirci forti, per non
accettare questa vita!

Purtroppo, a Barletta, chi non c'era, a parte le delegate operaie, erano i
sindacati confederali locali, regionali. Ma questa non è una ragione in
meno, ma un motivo in più per non delegare la nostra lotta di lavoratrici e
di donne.

Il momento più emozionante è stato verso la fine della pomposa, lunga
celebrazione religiosa.
Un grande, fortissimo applauso di tutta la piazza ha salutato le bare che
andavano via.
Ma nello stesso tempo all'applauso si è unita la ribellione. Striscioni sono
calati dai palazzi nella piazza: da un terrazzo, lo striscione nero "E ora
vogliamo la verità!!"; da un balcone di un altro palazzo: "Muore chi fa il
suo dovere per colpa di chi non ha mai fatto il suo".
I rappresentanti istituzionali sono stati "accompagnati" alla fine dalle
grida di gente comune, dal minimo "Bella figura che avete fatto", a frasi
molto più pesanti "Bastardi", "Assassini", "Andate in galera".
La rabbia poi si è trasferita da parte di tanti cittadini sotto il Comune,
verso il sindaco che si è barricato dentro e non ha voluto neanche
incontrare una delegazione. La parola principale era "Dimettetevi", "i
Profitti non valgono la vita di 5 operaie Dimettetevi" - diceva uno
striscione.

Noi prima di tornare a Taranto siamo andate sul luogo del disastro,
vicinissimo a p.zza A. Moro, per lasciare su quelle maledette pietre il
nostro striscione, come saluto, insieme ai fiori e ai cartelli, e ad altri
striscioni.
Un padre ci ha detto: "grazie di essere venute. Avete fatto una cosa
bella!".

per Le lavoratrici, disoccupate del Movimento Femminista Proletario
Rivoluzionario - Taranto

Concetta Musio
Fiorella Masci
margherita calderazzi

tel.347-5301704

TA. 7.10.11

venerdì 30 settembre 2011

80° Consiglio dei Delegati della FdCA - Ordine del giorno

80° Consiglio dei Delegati della FdCA

Fano, 25 settembre 2011

presso locali FdCA, Piazza Capuana

Ordine del giorno

Rapina a mano armata

Il debito fa paura. Lo spread terrorizza. Le manovre del governo contano su questo effetto da panico per poter più agevolmente trasferire ricchezza dalle tasche dei lavoratori a quelle di banchieri ed investitori istituzionali, con la scusa di un debito da pagare. La rapina in atto è su grande scala: blocco dei contratti, intervento di cassa sulle pensioni e sulle liquidazioni, possibilità di licenziamento, contrazione salariale, tagli ai servizi pubblici e quindi privatizzazioni e liberalizzazioni, depredazione del territorio e delle sue risorse... un esproprio di decine di miliardi di euro, di enorme liquidità, che viene effettuato sui redditi dei lavoratori e delle lavoratrici, dipendenti e subordinati. Milioni di persone a cui si sta togliendo ogni autonomia ed indipendenza economica, a cui si sta negando ogni possibilità di costruirsi un futuro o di vivere una dignitosa vecchiaia, a cui si sta impedendo ogni capacità di mobilitazione e di lotta perché subordinata al ricatto della precarietà, persone che si vuol costringere a rivolgersi alle banche per diventare dipendenti di un meccanismo infernale di indebitamento.

Un popolo di lavoratori consegnati alla dittatura dei patti di stabilità europei, al diktat delle manovre anti-crisi che finiscono solo per alimentare la crisi, alla penuria di reddito e di risorse.

Rapinati e messi sotto sorveglianza. Se ci si prova a reagire opponendosi, allora la rapina diventa a mano armata e lo Stato schiera le sue forze... armate di tutto punto. Derubati e mazziati.

Tutti gli appuntamenti che preludono alla giornata di protesta del 15 ottobre, ed oltre, e la loro preparazione nei vari territori sono ora le occasioni opportune per rilanciare un movimento sociale di lotta ed un progetto di alternativa sociale. Nel mondo del lavoro, occorre ripristinare la contrattazione del pubblico impiego, abrogare l'art.8 sui licenziamenti, restituire il diritto al TFR ed alla pensione di anzianità, riaprire una stagione contrattuale che chieda aumenti salariali generalizzati, restituire diritti e tutele sindacali ai lavoratori nei posti di lavoro, la disapplicazione dell'accordo del 28 giugno tra sindacati e Confindustria. Nel territorio occorre far applicare gli esiti del referendum dello scorso giugno, sviluppare campagne e lotte per il mantenimento dei servizi sociali, per il diritto alla casa, per affitti più bassi, contro gabelle ed aumenti di tariffe, riportare sotto il controllo pubblico servizi già privatizzati o esternalizzati, sperimentare e praticare nuovi modelli di sviluppo eco solidaristico.

Ma tutto questo ha bisogno di una ripresa generalizzata della capacità di mobilitazione dal basso nell'immediato; della capacità di costruire unità e federabilità delle lotte con prassi organizzativa e propositiva libertaria e orizzontale, nel medio periodo; di un progetto di alternativa sociale sostenuto da organismi di base e di massa indipendenti e con obiettivi di classe solidaristici, propugnato da una nuova sinistra, socialista e libertaria, comunista e anarchica.

Per queste ragioni la FdCA sostiene questi appuntamenti, il loro percorso preparatorio nei vari territori e la loro auspicabile futura radicalizzazione anche grazie al contributo dei militanti anarchici, libertari e di classe.

Consiglio dei Delegati
Federazione dei Comunisti Anarchici

Fano, 25 settembre 2011

80° Consiglio dei Delegati della FdCA - documento finale

80° Consiglio dei Delegati della FdCA

Fano, 25 settembre 2011

presso locali FdCA, Piazza Capuana

Documento finale

La nuova sindrome cinese:
liberismo ed autoritarismo in salsa nostrana

La crisi finanziaria e la crisi di accumulazione che il capitalismo atlantico si trova ad affrontare si può far risalire, seppur schematicamente ad una crisi di sovrapproduzione di merci e di capitale.

Questa da una parte ha determinato la crescita della finanziarizzazione e dell'impiego di capitali a più alto tasso di rendimento in paesi ed in luoghi che non fossero soggetti a vincoli sociali ed ambientali, rendendo autonomia a quelle borghesie di continenti prima assoggettate al capitale atlantico, ed oggi in grado, come la Cina, di determinare politiche industriali e finanziarie e di acquisire un ruolo sempre più egemone a livello mondiale.

Dall'altra parte la crisi ha comportato una progressiva perdita di importanza economica dell'Europa come catalizzatore di flussi di capitali e di merci, e, come nel caso della succitata Cina, la maggior acquisizione di peso di altre aree geografiche. In Europa, la conseguente diminuzione di crescita economica e di ricchezza prodotta, ha comportato l'inasprimento della lotta di classe intorno alla distribuzione del reddito. In queste fasi critiche, contrassegnate da una diminuzione delle risorse disponibili, l'elemento determinante nella definizione delle scelte politiche ed economiche della società capitalista, e cioè i rapporti di forza tra le varie classi economiche, acquisisce ancor più maggiore rilevanza.

In piena espansione della bolla finanziaria abbiamo assistito agli Stati che corrono in soccorso del Capitale finanziario accollandosi i cosiddetti titoli tossici, mentre i lavoratori che sono stati ingannati dalle sirene degli investimenti e della speculazione finanziaria sono rimasti con un palmo di mano, così come successe per i bond argentini.

La banca europea ha concesso prestiti alle banche private a basso costo, le quali a loro volta hanno reinvestito in forme di finanziarizzazione degli Stati a tassi molto più elevati.

In questo modo gli Stati sono divenuti i principali debitori delle banche private, le quali, preoccupate che questi non falliscano, impongono - attraverso i comandamenti della BCE - loro politiche restrittive nei confronti del welfare e della spesa pubblica.

È un circolo vizioso, in cui le politiche keynesiane, che in parte potrebbero ritardare gli effetti della crisi, non sono all'ordine del giorno.

Il settore dell'economia reale, da cui comunque è partita la crisi finanziaria, ne subisce gli effetti più pesanti con un erosione delle plusvalenze. Ma il sistema per continuare a funzionare ha bisogno di garantire a chi investe, cioè ai capitalisti, sempre il suo margine di profitto.

È qui che si innesca l'inevitabile conflitto tra Capitale e Lavoro, di cui ne abbiamo un esempio in quello che è successo alla FIAT, con il modello Marchionne che ha fatto da apripista per il nuovo corso contenuto anche nell'ultima manovra finanziaria, a ridisegnare i rapporti sindacali scaricando sulla pelle dei lavoratori i costi della crisi, e con la benedizione di tutto un ceto politico, che va dal Partito Democratico agli uomini del Governo Berlusconi e che, per bocca di Sacconi e dei media complici, già intravedeva nel prossimo futuro rapporti aziendali dove sia per sempre bandita la possibilità dei lavoratori ad organizzarsi collettivamente per contrattare la propria condizione ed il proprio salario.

Proprio dal punto di vista dei rapporti di forza, all'interno di questo scenario, registriamo in Italia una grande debolezza delle classi subalterne ad iniziare dalla classe lavoratrice.

Sono caduti uno ad uno i pilastri della sicurezza sociale che nel secolo scorso ed in decenni di lotta la classe proletaria era riuscita a darsi ed a costruire negli anni, dai partiti di massa alle organizzazioni sindacali, che, trasformandosi nel tempo hanno garantito, soprattutto all'interno dei propri stati nazione un contratto sociale che permetteva una redistribuzione della ricchezza a favore delle classi popolari, e dove le borghesie nazionali, in un periodo di espansione capitalista, accettavano che le conquiste della classe operaia smussassero ogni antagonismo rivoluzionario. Ma ora, ridotti i margini delle plusvalenze, tutto ciò non è più possibile. La lotta per la distribuzione delle ricchezze prodotte si inasprisce e chi è più debole soccombe.

Anche grazie alla debolezza e all'inadeguatezza delle storiche rappresentanze politiche e sindacali di classe, dal completo asservimento dei sindacati di servizio CISL, UIL e UGL, alla completa subalternità della CGIL, il cui gruppo dirigente, Camusso in testa, è impegnato a comprimere la spinta alla generalizzazione del conflitto che viene non solo dalla classe operaia, ma anche da altri settori della società reale, del lavoro e del non lavoro. Una subalternità che trova linfa nei riti che puntano alla salvaguardia della burocrazia sindacale e nello squallido legame tra buona parte di questa e il Partito Democratico.

Ma anche all'interno della parte più conflittuale della CGIL, la FIOM, ci sono resistenze alla generalizzazione del conflitto, nonostante l'importante ruolo svolto come catalizzatore del fronte sociale.

D'altra parte pezzi di sindacalismo di base, nel tentativo di acquisire visibilità, sono spesso bloccati da sterili operazioni di salvaguardia delle proprie sigle di appartenenza, dimenticando troppo spesso che il primo fine sarebbe quello di unificare le lotte dei lavoratori che loro stessi rappresentano e, mettendo per prima la rappresentanza rispetto ai rappresentati, finiscono spesso nel non riuscire a catalizzare le espressioni di conflitto che provengono dalla naturale lotta delle classi.

Tutto questo mentre nella società reale la crisi sta producendo ondate di indignazione e di lotta in tutti i paesi del mondo, dove giovani e non solo, al di fuori delle classiche forme organizzative, stanno riscoprendo in una dimensione collettiva la propria capacità di lotta.

Un conflitto attualmente ancorato ad un rapporto politico- istituzionale, ma che presto si renderà conto dell'impossibilità di un percorso istituzionale, non perché le oligarchie al potere ne osteggeranno l'avanzamento, ma perché è appunto impossibile ridefinire ruoli di trattativa con un capitale che deve salvare se stesso. E se il pericolo è che le lotte espresse in questo periodo e quelle che verranno siano dirottate dai vertici burocratici, in vista di una probabile futura crisi politica, verso le viscide e sterili paludi dell'elettoralismo, e che tutta questa espressione del conflitto diventi linfa per le future beghe elettorali di ciò che rimane della sinistra, perché questa è la fine a cui abbiamo assistito troppe volte negli ultimi tempi, il movimento che sta emergendo sembra avere in nuce assorbito l'ossatura pratico-teorica di nuove forme organizzative autogestionarie all'interno della società reale. Nonostante l'elitarismo e la debolezza politica di buona parte della galassia anarchica incapace di influenzare questi moti spontanei, e di renderla cosciente della sua componente libertaria e di classe, di cui questo movimento sembra raccogliere prassi sedimentate. Nelle parole d'ordine e nelle pratiche che dovranno essere capaci di contrastare, all'interno di ogni paese, la nuova tendenza del capitalismo mondiale, permeata su una sintesi tra liberismo economico e autoritarismo politico, con il modello di sviluppo cinese a fare scuola col suo cocktail di centralismo politico e liberismo economico, e dove sono i grandi investitori finanziari e le banche centrali a determinare le scelte politiche degli Stati.

Infatti l'orientamento delle oligarchie politiche è quello che, all'interno delle mura statali, restringe progressivamente gli spazi democratici concentrando il potere politico, applica politiche antisociali erodendo le risorse prima destinate alle classi più povere, smantella i beni comuni svendendoli al capitale privato. Così come in Italia, dove una classe politica legata alla parte più corrotta e parassitaria del capitalismo, oltre a blindare i privilegi dei faccendieri finanziari e degli evasori plurirecidivi, nel tentativo di riacquistare la fiducia dei partner europei e degli investitori esteri, ma ovviamente incapace di generare scelte che andrebbero contro i loro stessi interessi, partorisce una manovra che colpisce direttamente le classi sociali più povere, una manovra oltretutto depressiva anche dal punto di vista della crescita capitalista perché riduce la capacità di consumo della società.

Una manovra che dà la svolta definitiva alla cancellazione del contratto nazionale del lavoro, che dà via libera alla libertà di licenziamento, all'impossibilità di opporsi, anche per via legislativa, al peggioramento delle condizioni di lavoro e di salario, che taglia le pensioni dei lavoratori e delle lavoratrici e ne innalza l'età di accesso e che in definitiva spazzerà via diritti e tutele conquistati in decenni di lotte operaie.

All'esterno la tendenza neoautoritaria del capitale a livello internazionale, con la lotta per la spartizione delle risorse energetiche ed economiche produce conflitti armati a bassa intensità.

E, in una sorta di perenne riproduzione dell'appropriazione originaria, ne fanno le spese le popolazioni dei paesi più poveri, rapinati delle loro risorse naturali, usati come discarica dei paesi ricchi, privati delle loro libertà decisionali.

E nella ridefinizione delle aree d'influenza, il capitale, nella sua perenne guerra ha trasformato in miti soldati i ceti popolari dei paesi più ricchi, ridottisi a difendere il proprio capitale e quindi la propria borghesia.

In questo scenario è estremamente probabile che in Europa il conflitto tra lavoratori, disoccupati e diseredati da una parte e il capitale e lo Stato dall'altra aumenterà progressivamente, come d'altronde hanno dimostrato non solo il variegato movimento degli "indignati", ma anche le forme meno politiche come la risposta dei senza potere inglesi, al dominio del mercato ed alla mercificazione delle proprie vite, che peraltro valgono sempre meno.

Molto probabilmente questo sarà lo scenario diffuso nell'Europa dei prossimi mesi, ed in particolare in Italia, dove la compressione sociale sta raggiungendo limiti insopportabili.

Dall'altra parte ci immaginiamo già giornalai di corte e sociologi prezzolati ad accorrere in soccorso del potere tanto bistrattato, schiere di politicanti mafiosi e venduti, sindacati complici che hanno scelto di stare dall'altra parte della barricata, ed hanno scelto la criminalizzazione di ogni risposta di classe prima ancora che questa si manifesti.

In questo scenario di ridefinizione dei rapporti sociali a tutto vantaggio del capitale, ogni pratica democratico parlamentare è del tutto insufficiente perché serve a perpetuare il grande inganno. Ogni strada che un tempo si sarebbe detta riformista ci è preclusa. Di fronte ad un capitale ed un potere statale che mai come oggi si fanno così minacciosi servono risposte di lotta a livello territoriale e sui posti di lavoro, serve un fronte unico del sindacalismo conflittuale, che sappia promuovere ed unire la lotta dei lavoratori e delle lavoratrici su una piattaforma di richieste semplici e chiare in difesa delle libertà sindacali e dei diritti economici. Serve una unione di tutto il sindacalismo conflittuale con un'azione coordinata dal basso, e non spezzettata nei mille rivoli delle rappresentanze verticistiche. Serve un coordinamento tra il sindacalismo conflittuale e i comitati territoriali cittadini che difendono l'ambiente, le periferie e gli spazi liberi dall'aggressione degradante del capitale e un coordinamento con tutte le forme associative territoriali o di categoria anticapitaliste.

Ed è fondamentale inoltre favorire tutti quei coordinamenti anticapitalisti che oltrepassino i confini dei singoli paesi e diano un respiro internazionale all'organizzazione del conflitto.

In questo scenario è fondamentale che si confrontino e si impegnino i militanti anarchici e libertari, a partire dalla definizione delle linee di intervento politico, nel produrre analisi e materiali in un dibattito allargato interno ed esterno all'ambito libertario, ma che sappia individuare nella crescente risposta internazionale alla crisi la necessità della critica anarchica, valorizzandone i contenuti, per arrivare alla partecipazione militante e organizzata nelle lotte del proletariato europeo.

Consiglio dei Delegati
Federazione dei Comunisti Anarchici

Fano, 25 settembre 2011

giovedì 15 settembre 2011

Siamo tutte con Nina e Marianna!

http://dumbles.noblogs.org/2011/09/13/siamo-tutte-con-nina-e-marianna/#more-1604
Arrestate pernon aver commesso il fatto.
Le due donne NO TAV arrestate venerdì per aver osato avvicinarsi troppo a quel recinto che custodisce un cantiere che non c’è e che ha mera funzione di occupazione militare del territorio e simulazione di lavori in corso al fine di estorcere all’Europa quei quattro euro di finanziamento per le tratte transfrontaliere.
Dunque Nina e Marianna erano lì, a contestare questa enorme vergogna nazionale assieme a tanti/e altri/e NO TAV che in risposta alle loro ragioni, (esposte, argomentate, dimostrate da almeno vent’anni), subiscono costantemente lancio di velenosi (e proibiti in altre parti d’Europa) gas lacrimogeni.

Nina e Marianna sono state le prede di questo giro pesantemente repressivo ordinato da Maroni il quale il giorno prima ha evocato il morto apposta per avere la legittimità a picchiare più forte.
E si badi bene: non si picchia solo col manganello, non si soffoca solo col gas, si viene puniti anche solo per avere con sé strumenti di autodifesa; Nina e Marianna negli zaini avevano maschere antigas, Maalox contro gli effetti dei lacrimogeni, qualche altro oggetto di primo soccorso. Eppure sono state fermate, eppure sono finite in carcere, eppure, anche se incensurate l’arresto è stato convalidato ed anche un giorno prima, tanta è la fretta di dare un segnale di intimidazione.
E’ la dittatura del TAV, perché a questo si arriva quando non si hanno argomentazioni logiche a propria disposizione; si manda l’esercito.
C’era una volta il PD, ai tempi di Prodi, o, per quanto ci riguarda, di Illy e Sonego che raccontavano la storiella che il TAV era necessario per non essere tagliati fuori dall’Europa e amenità varie… ma che mai si sarebbe dovuto imporre con la forza; bisognava dialogare con le popolazioni interessate, confrontarsi, capirsi… Bene, eccoci qua al dunque delle popolazioni interessate che molto pacificamente hanno spiegato che il TAV non lo vogliono. Ed ecco Fassino che invoca l’esercito, ed ecco la squallida figura del deputato PD Esposito a dire che le due donne arrestate “dovrebbero andare a lavorare nel cantiere per capire i valori dello stato democratico”.
Allora il caro Esposito dovrebbe venire lui, assieme, se vuole, agli altri suoi compagni a spiegarci i valori di uno stato che decide di spendere 110 miliardi di euro dei suoi cittadini per un’opera che non ha fruitori né in passeggeri né in merci, mentre sta già spremendo gli stessi suoi cittadini con inique manovre succhiasangue. Vengano a spiegarci perché dovremmo pagare 1200 euro a centimetro un’opera che non ci servirà a nulla; oppure, per convincerci che l’indebitamento nostro e delle generazioni a venire è buona cosa, vengano a dirci a cosa ci servirà.
Noi ancora aspettiamo le risposte di Riccardi e della Serracchiani alla domanda: Cos’è oggi, dal punto di vista progettuale, la tratta AV/AC, del Corridoio 5, Venezia-Trieste?, a cosa serve?
Anzi, oggi, Serracchiani che in febbraio lanciava appelli alle donne per la partecipazione alla manifestazione “Se non ora quando?” in difesa della dignità femminile così svillaneggiata dalla prepotenza del potere, ci dovrebbe dire quanto lei si senta affine a Maroni e alla sua linea repressiva, quanto affine al “compagno” Esposito contro Marianna la pacifista coltivatrice della nonviolenza che lavora per pagarsi gli studi di medicina a Torino, contro Nina madre di tre figli di Chiomonte che davanti al recinto della prepotenza del potere semplicemente rivendicavano la loro libertà di persone in quel territorio, la loro autodeterminazione di donne che non si vogliono ulteriormente penalizzate né economicamente né socialmente.
I nodi vengono al pettine … anche per chi ha i capelli lisci.
NINA E MARIANNA LIBERE SUBITO!

sabato 10 settembre 2011

Le suore, i sindacati ed il brigante

Nella scellerata, inutile e classista manovra del governo italiano del 13 agosto, che porta il numero 138/2011, è previsto all'art. 8 ed emendamenti che un accordo aziendale o territoriale, firmato dalla maggioranza delle rappresentanze sindacali, possa regolamentare alcuni aspetti inerenti all'organizzazione del lavoro e della produzione, tra cui il recesso del rapporto di lavoro, in deroga alle norme di legge e di contratto collettivo.

L'art.18 dello Statuto dei Lavoratori (legge 300/1970), che vieta il licenziamento senza giusta causa e obbliga il datore al reintegro del licenziato, viene dunque aggirato con questo articolo, chiamando direttamente i sindacati a co-licenziare insieme ai datori di lavoro le maestranze in esubero o forse poco produttive e magari troppo sindacalizzate.

Dopo il Collegato Lavoro, l'accordo separato del 29 gennaio e quello unitario del 28 giugno, giunge questo macigno anti-operaio a lastricare la strada della distruzione dei diritti più elementari per i lavoratori italiani.

Il ministro Sacconi, nel difendere questo parto della sua mente, ha dichiarato che i sindacati, a cui viene proposto il licenziamento di un lavoratore, possono fare come quella suora del XVII secolo scampata - unica - ad uno stupro di massa in un convento ad opera di briganti, la quale affermò di essersi salvata grazie al fatto di aver detto semplicemente NO!

Ad oggi, la suora scampata sembra impersonata dalla CGIL e da tutti i sindacati di base che hanno scioperato il 6 settembre, le povere suore violentate sembrano impersonate da CISL, UIL, UGL e co., favorevoli all'art.8, ed infine il brigante violentatore dei sindacati/sorelle sembra impersonato dal ministro stesso! Ma al di là della facezia di pessimo gusto, questo art.8 è un capolavoro di odio di classe.

L'ultima versione dell'art.8 prevede che - fermo restando il rispetto della Costituzione, dei vincoli normativi europei ed internazionali sul lavoro - le intese raggiunte dalla contrattazione aziendale e/o territoriale sono efficaci anche in deroga alle disposizioni di legge ed ai contratti collettivi nazionali di lavoro che regolamentano le materie di contrattazione. Le imprese dunque possono ottenere dai sindacati firmatari degli accordi aziendali il via libera ad adottare nelle loro aziende una regolamentazione diversa dalle norme di legge e dal CCNL vigente.

Quali sono i sindacati che possono firmare un accordo del genere? Sono quelli, sul piano nazionale o territoriale, che risultano essere comparativamente più rappresentativi dalla applicazione dell'accordo del 28 giugno (art.7 in particolare), da cui è bene che la CGIL ritiri la propria firma per coerenza e manifesta dissidenza, vista la sua nefasta applicazione all'interno della manovra governativa.

Il via libera, concesso dai sindacati firmatari alle imprese, è praticabile quando le intese sono finalizzate a

  • maggiore occupazione
  • qualità dei contratti di lavoro
  • emersione del lavoro irregolare
  • incrementi di competitività e salario
  • gestione di crisi aziendali e occupazionali
  • investimenti e avvio di nuove attività
  • adozione di forme di partecipazione dei lavoratori.

Quindi per un fine quale la maggiore occupazione e quindi in caso di nuove assunzioni, o al contrario in caso di crisi occupazionale e di esuberi, l'intesa può prevedere la non applicabilità dell'art.18, oppure una sua applicazione limitata con riconoscimento di un indennizzo al posto del reintegro.

Ma se queste sono le ragioni di tali intese in deroga, quali sono le materie concrete su cui i sindacati firmatari possono esercitare la loro complicità in deroga anti-operaia e concedere il via libera (più elegantemente noto come opting out)?

Si va dagli impianti audiovisivi alle mansioni (inquadramento); dai contratti a termine ed altri contratti flessibili all'orario di lavoro; dalle modalità di assunzione al recesso del rapporto di lavoro. E qui, salvo situazioni legate al matrimonio, alla maternità, ai congedi parentali ed all'adozione o patologie di minori, tutte le altre sono derogabili dall'art.18.

Privati, con gli accordi del 29 gennaio e del 28 giugno, della loro autonoma capacità di rappresentanza e di lotta, i lavoratori vengono ulteriormente consegnati - con questa norma - al totale controllo e potere dei sindacati firmatari di queste intese proni alle scelte delle imprese, nonché all'azione repressiva di queste ultime in caso di reazione operaia di base e dal basso.

Bisogna che le categorie dell'industria della CGIL e le componenti conflittuali al suo interno si sgancino da un lato da questa logica costringendo i vertici a ritirare la firma dall'accordo del 28 giugno e dall'altro diano impulso e difesa a forme di rappresentanza dal basso nei luoghi di lavoro; bisogna che il sindacalismo conflittuale e di base affronti da un lato l'applicazione di questa normativa tutelandosi sul piano dei numeri e dell'unità per non essere definitivamente escluso dalla rappresentanza e dall'altro mantenga una forte presenza di auto-organizzazione all'interno delle aziende; bisogna che tutto il sindacalismo conflittuale, trasversale alle categorie ed alle sigle, lanci una grande battaglia per la disapplicazione degli accordi del 29 gennaio e del 28 giugno, per la disapplicazione dell'art.8 della manovra, per il mantenimento dello Statuto dei Lavoratori e per una nuova e più democratica individuazione della rappresentanza sindacale, che capovolga l'attuale tendenza alla centralizzazione burocratica in atto nel sindacalismo italiano e rilanci una grande stagione di lotta per le rappresentanze consiliari, elette su scheda bianca, titolari della contrattazione aziendale e tutori del rispetto dei contratti nazionali e dei diritti dei lavoratori.

Commissione Sindacale
Federazione dei Comunisti Anarchici

9 settembre 2011