mercoledì 26 gennaio 2011

Alice nel paese delle meraviglie

I rivenditori di materiali edilizi a
Roma si chiamano “smorzi”.
Di “smorzi” nella capitale ce ne sono
centinaia disseminati in tutti i cantieri da quelli periferici al
centro. All’alba, prima ancora che gli “smorzi” aprano decine di
persone con un piccolo zaino in spalla contenete il pranzo per la
giornata aspettano di essere ingaggiati per una giornata di lavoro.
Sono muratori, manovali, carpentieri, piastrellisti e giardinieri.
Sono operai, non solo stranieri con la crisi gli italiani sono sempre
più numerosi, in attesa che arrivino i caporali.
Schiavi che aspettano
di vendere le loro braccia per 40 euro al giorno, sempre a nero.
Sono
anni che va vanti così sotto gli occhi di tutti: polizia, carabinieri,
sindacalisti, preti , politici borghesi e cittadini perbene.
Ieri la
gran capa della CGIL Camusso, quella della firma tecnica all’accordo di
Mirafiori, ha lanciato la campagna “Stop al caporalato”
Secondo la
CGIL, il numero degli schiavi impiegati ogni giorno è di oltre
quattromila, con un guadagno dei caporali di 10/20 euro per operaio.
L’
illuminata legislatura italiana non considera il caporalato un reato
grave, per legge il massimo che gli schiavisti rischiano sono 50 euro
di multa. in allegato l’articolo del Corriere della sera –Roma.

mario

lunedì 24 gennaio 2011

Dignità operaia

Con la grande affermazione del no operaio al ricatto di Marchionne la
classe operaia della Fiat di Torino sceglie la dignità , così come è
stato per i lavoratori di Pomigliano: i diritti non sono in svendita e
la libertà dei lavoratori conquistata con anni di lotte e di sacrifici
non può essere cancellata e sacrificata sull’altare della concorrenza
antisolidale del capitale e dell’aziendalismo fascista.
Il tentativo di Fiat e Confindustria di ridisegnare i rapporti
sindacali scaricando sulla pelle dei lavoratori i costi della crisi e
l’inefficienza del sistema industriale non resterà rinchiuso al mondo
Fiat, con la benedizione di tutto un ceto politico, che va dal Partito
Democratico agli uomini del Governo Berlusconi e che, per bocca di
Sacconi e dei media complici, già intravedeva nel prossimo futuro
rapporti aziendali dove sia per sempre bandita la possibilità dei
lavoratori ad organizzarsi collettivamente per contrattare la propria
condizione ed il proprio salario. Le relazioni sindacali e sopratutto
le condizioni di lavoro vengono così riportate indietro di decenni,
con il “coraggio” di decantare la modernità della miseria come
requisito e condizione di vita per la classe operaia nei prossimi
decenni.
Il risultato di Mirafiori conferma ancora una volta che non vi è più
nulla da sacrificare sull’altare dell’aziendalismo e del patriottismo
industriale, il terreno su cui indietreggiare è finito.
In questa come nella maggior parte delle recenti vicende sindacali,
occorre sottolineare la subalternità della Camusso e del gruppo
dirigente CGIL nell’elaborazione della strategia contrattuale della
confederazione; elaborazione che rimane nel perimetro degli avversari
Confindustria/Fiat/CISL/UIL, nel momento in cui risulta fondamentale
invece avere una strategia autonoma che punti a creare rapporti di
forza per scardinare il progetto Confindustria/Marchionne. Questa
subalternità ha trovato linfa nei riti che puntano alla salvaguardia
della burocrazia e nello squallido legame tra buona parte di questa e
il partito democratico.
Il tutto si traduce in un reiterato rifiuto della proclamazione dello
sciopero generale, che non fa altro che comprimere la forte volontà
di lotta che sta emergendo in tanti settori della società.
Per questo lo sciopero del 28 gennaio indetto dalla Fiom ha già
assunto le caratteristiche di una mobilitazione generale, con la
partecipazione di praticamente tutto il sindacalismo di base , pur con
distinzioni importanti, e di settori importanti della società civile,
che insieme confermano:
- il carattere generale della mobilitazione su tutto il territorio nazionale,
- il ruolo della Fiom come catalizzatore di un fronte sociale,
- l’attualità e la praticabilità del sindacalismo conflittuale,
mostrando i primi ed importanti risultati nell’unificazione delle
lotte e dei percorsi che costituiscono la base indispensabile ad ogni
opposizione sociale che possa praticare conflitto per l’autonomia di
classe in risposta ai violenti attacchi che lavoratori , disoccupati,
precari e studenti, tutti, non sono più disposti a tollerare.
Le risposte autoritarie del governo e del padronato ed i tentativi di
umiliare la classe operaia con ricatti occupazionali e con il sostegno
dei grandi mezzi di informazione, come nel recente caso della Fiat a
Torino, svelano in modo evidente la non disponibilità del proletariato
a farsi rinchiudere nelle gabbie delle compatibilità di mercato,
ritrovando quella dignità e quella consapevolezza che nessun patto tra
burocrazie sindacali vendute e impresa può rinchiudere nella fabbrica
lager.
Il 28 gennaio è una tappa fondamentale di un percorso che vede il
protagonismo dei lavoratori assumere sempre più chiaramente
l’espressione della ricomposizione di classe come primo obiettivo per
il fronte sociale che si sta dimostrando possibile e praticabile.
Lo sciopero dei metalmeccanici per ottenere un contratto collettivo di
lavoro per tutti, per la democrazia sindacale, è lo sciopero di tutti
per rifiutare il fascismo aziendale dei tanti Marchionne che, con la
complicità decennale dei governi, hanno destrutturato il mondo del
lavoro per avere una classe operaia sottomessa e ricattabile alle
esigenze del profitto dei pochi .
Perciò la Federazione dei Comunisti Anarchici invita tutti i libertari
e gli anarchici su posizioni di classe a impegnarsi per la piena
riuscita e la crescita delle mobilitazioni e invita tutti i
lavoratori e le lavoratrici a scioperare e a partecipare, al di la
delle sigle di appartenenza sindacale, allo sciopero del 28 gennaio
(27 in Emilia Romagna) per affermare il diritto dei lavoratori a poter
scegliere il proprio sindacato, perché la democrazia sia dentro i
cancelli delle fabbriche ed a tutti sia garantito il diritto ad
organizzarsi collettivamente per la difesa degli interessi di classe,
continuando una fase di lotte e di rivendicazioni nel mondo del
lavoro e nella società civile per indire uno sciopero generale che
rilanci l’opposizione sociale di questo paese.

78 ° Consiglio dei Delegati Fdca
Fano 28 gennaio 2011

venerdì 21 gennaio 2011

Comunicato internazionale comunista anarchico - Tunisia: la rivoluzione non è finita

Comunicato internazionale comunista anarchico

Tunisia: la rivoluzione non è finita

Dopo un mese di insurrezione popolare, il tiranno è caduto. Ben Ali e la sua gang hanno preso la strada del'esilio. E' una grande vittoria per il popolo tunisino e per tutte le persone che amano la libertà. E' anche un esempio ed una grande speranza per i popoli che nella regione vivono in Stati di polizia.
Ma la rivoluzione non è finita, il partito dell'Unione Democratico Costituzionale (RCD - Rassemblement Constitutionel Démocratique) è ancora al potere con 161 seggi su 214 nel parlamento, con il presidente ad interim Fouad Mebazaa ed il Primo Ministro Mohamed Ghannouchi quali pilastri della dittatura. Più che un vero cambiamento, le prime mosse fatte in piena emergenza mostrano un potere che punta a ristabilire la calma nelle piazze. Entro 60 giorni ci saranno le elezioni, ma fatte in base all'attuale Costituzione che si confà al RCD. Le consultazioni per la costituzione di un governo di unità nazionale sono già cominciate, ma è il RCD che sceglie i partiti convergenti. Lo scopo dell'operazione è chiara: svuotare la vittoria delle piazze incanalandola sul piano politico. Esiste un alto rischio che il partito al governo coopti un'opposizione servile ed introduca una democrazia sbiadita una volta che il vento della rivolta sia stato placato. Non possiamo permettere che prenda corpo la possibilità di un nuovo dittatore il quale, come Ben Alì, si prostri all'Eliseo ed alla Casa Bianca.

Le tunisine ed i tunisini sono consapevoli delle insidie alla libertà che è costata loro il prezzo di dozzine di morti. In tutto il paese si sono auto-organizzati in comitati di auto-difesa per contrastare le milizie del clan dei Ben Ali/Trabelsi che continuano ad imperversare. E non si faranno ingannare dalle manovre per mantenere il RCD al potere. Sfidando lo stato d'emergenza tuttora in vigore, i manifestanti sono di nuovo nelle strade per chiedere un vero cambiamento, urlando: "Non ci siamo ribellati per avere la formazione di un governo di unità con una opposizione di carta".

La rivoluzione non è finita, perché nessuna questione sostanziale è stata risolta: povertà, disoccupazione di massa, corruzione, clientelismo, disuguaglianza, ecc... Per il popolo tunisino, oltre a ristabilire un agibilità democratica, rimane centrale la questione sociale che riguarda tutti i tunisini e le tunisine. I mali che affliggono il paese non possono essere sanati se non con una efficace politica di redistribuzione della ricchezza quale soluzione di discontinuità con la dittatura dei mercati.

Le organizzazioni firmatarie ribadiscono la loro piena solidarietà con la lotta del popolo tunisno per la libertà e la giustizia sociale e sono solidali con i militanti anti-capitalisti tunisini; condannano altresì l'atteggiamento delle potenze occidentali e delle loro classi politiche - quelle socialdemocratiche come quelle di destra - che hanno sempre sostenuto il potere autoritario di Ben Ali.

19 gennaio 2011


Alternative Libertaire (Francia)
Federazione dei Comunisti Anarchici (Italia)
Organisation Socialiste Libertaire (Svizzera)
Union Communiste Libertaire (Québec, Canada)
Libertäre Aktion Winterthur (Svizzera)
Zabalaza Anarchist Communist Front (Sud Africa)

giovedì 20 gennaio 2011

Lettera aperta al segretario della FIOM Maurizio Landini

mer, 19 gen @ 08:17
Lettera aperta al segretario della FIOM Maurizio
Landini
Pubblicato in
www.asloperaicontro.org oc telematico

Mi
chiamo Rosario Monda e sono un operaio licenziato FIAT di Pomigliano.

La mia situazione rappresenta un esempio chiaro di come la FIAT e il
suo capo
Marchionne intendano il concetto di “legalità” e “democrazia”.

Il mio caso è ancora più eclatante di quello, gravissimo, dei tre
compagni di Melfi,
perché io, dopo essere stato licenziato nel 2006 e
aver vinto la “causa” più di un
anno e sei mesi fa, con una sentenza
definitiva che “impone” all’azienda l’immediato
reintegro, sono ancora
fuori e anche senza salario. La FIAT ha deciso di non farmi
rientrare e
di non pagarmi.

Sono fuori per rappresaglia. Non sono un pericoloso
sovversivo, né un capo sindacale.
L’azienda mi tiene così come esempio
per gli altri: “Non ribellatevi, abbassate la
testa, altrimenti vi
licenzio come Rosario e se anche vincete i ricorsi legali, io
non vi
reintegro lo stesso”.

Da qualche mese ho cercato di far conoscere la
mia situazione. Molti giornali, tra
cui Il Fatto, l’Unità, Repubblica e
moltissimi siti internet si sono occupati del mio
caso. In ultimo ho
rilasciato un intervista anche a RaiNews andata in onda il 14
Gennaio
2011 (Il link per vederla è: http://www.youtube.com/watch?
v=hzK0WhpHZIk). Ho
ricevuto molta solidarietà personale. Alcuni operai
mi hanno sostenuto attivamente,
in particolare quelli della INNSE di
Milano.

La cosa strana è però che nessuna organizzazione sindacale mi
sostiene in questa
battaglia.

Non capisco in particolare la posizione
della FIOM.

La FIOM, di cui lei è segretario, non ha speso per ora una
sola parola sul mio caso.

Non penso che il motivo risieda nel fatto
che il mio licenziamento avvenne
ufficialmente per una contestazione ai
vertici dei sindacati confederali in
un’assemblea di fabbrica in
concomitanza di un rinnovo del contratto.

A quella contestazione io
partecipai, come migliaia di altri, alzando la mano e
votando contro
quel contratto su cui non ero d’accordo.

Non riesco pertanto a
capire cosa mi abbia reso un “invisibile” .

Per i sindacati filo
aziendali credo che la cosa sia nel conto. Quello che trovo
sbagliato è
che anche la FIOM si sia tirata fuori. Comunque la si rigiri, io sono
un
licenziato “politico”. Sono stato espulso non perché contestatore
degli altri
sindacati, ma perché ho scioperato e ho lottato ogni volta
che vedevo calpestati i
miei diritti e quelli dei miei compagni. Questi
sono i veri motivi del mio
licenziamento.

La FIOM, oggi sotto attacco
da parte della FIAT, denuncia giustamente come la linea
Marchionne a
Pomigliano e Mirafiori segna un peggioramento delle condizioni di noi
operai. Ebbene, il mio caso è la dimostrazione di dove si stia
spingendo la FIAT.
Vuole il controllo assoluto degli operai, senza
limiti sindacali e giuridici.

Marchionne si è presentato agli occhi
dell’opinione pubblica come un manager che
vuole semplicemente
condizioni di lavoro diverse dalle precedenti, rispettando le
regole e
le leggi dello Stato. Invece il mio caso dimostra chiaramente come
Marchionne e la FIAT siano disposti a non rispettare neanche le
sentenze della
magistratura pur di raggiungere i loro scopi.

La FIOM
ha denunciato apertamente le violazioni della costituzione e delle
leggi
contenute negli accordi di Pomigliano e Mirafiori e non può
tacere quindi di fronte
all’arroganza dell’azienda di tenere fuori e
senza salario un operaio che la
magistratura ha reintegrato pienamente
sul proprio posto di lavoro.

Io sono come gli altri operai e l’
ingiustizia che mi viene inflitta è l’esempio di
quello che stanno
facendo a tutti gli operai, credo che la FIOM non possa lasciarmi
nel
dimenticatoio, alla fame, come vuole Marchionne e quelli che la pensano
come
lui.

Certo di una sua risposta, la saluto.



Pomigliano d’Arco,
18/01/2011 Rosario
Monda

domenica 16 gennaio 2011

Le proteste in Nord Africa: cosa sta succedendo?

Le proteste contro l’alto costo della vita, contro la disoccupazione e la corruzione si sono intensificate a partire dalla fine del 2010 in tutto in Nord Africa, tra Tunisia ed Algeria, in tante città, toccando tutti i settori sociali, fino a produrre una situazione di instabilità in entrambi i paesi – cosa che deve preoccupare tanto gli Stati Uniti quanto l’Unione Europea, i due principali garanti dei sistemi politici oligarchici che si sono perpetuati nel Maghreb, quali “stati cuscinetto” contro l’avanzata del fondamentalismo islamico nella regione.

Bouteflika in Algeria e Ben Ali in Tunisia (per non parlare di re Mohammed VI in Marocco) vengono presentati al mondo come gli “uomini forti” che danno un contributo determinante nel tenere sottomesso ed alla larga il nemico interno, anche al costo di far sprofondare i loro popoli nella povertà e di tenerli sotto il pugno di ferro, smembrando e reprimendo il più possibile ogni tentativo del popolo di auto-organizzarsi o di ricercare un cambiamento politico, oppure schiacciando le minoranze etniche ed assicurando –tramite l’apparato statale- la continuità del sistema tramite l’appoggio di complici agenzie ed organismi sociali, sindacali e politici. E tutto questo con la complicità della “comunità internazionale” a cui sta a cuore soprattutto –oltre ed al di là del rispetto per i diritti umani- l’esistenza di alleati stabili, col duplice fine di proseguire la “guerra al terrore” e di poter contare su buoni partners commerciali.

L’auto-immolazione di un fruttivendolo tunisino di Sidi Bouzid per protestare contro le ingiustizie del regime e contro la mancanza di qualsiasi prospettiva di vita è stata la scintilla che ha acceso il movimento di protesta diffusosi poi da quella città a tutta la Tunisia, con manifestazioni popolari che chiedono maggiore democrazia ed una politica economica diversa da quella antipopolare imposta dalle organizzazioni finanziarie internazionali. Gli abitanti delle baracche intorno alle miniere di carbone, gli avvocati, i giornalisti, i giovani dei quartieri popolari…sono questi i soggetti più attivi e più visibili nelle proteste. La rete TV Al Jazeera, i siti internet e i blogs – nonostante tutti i tentativi di censura e di oscuramento- sono diventate le fonti più importanti per avere informazioni, per sviluppare i contatti ed il coordinamento di un movimento che le agenzie di comunicazione ufficiali –le uniche ad essere legalmente autorizzate- stanno invece cercando di nascondere e di minimizzare.

Le manifestazioni si sono diffuse dalla Tunisia alla vicina Algeria, che sta vivendo una situazione politica e sociale molto simile. L’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e di altri beni di base, l’aumento della disoccupazione soprattutto giovanile ed un sistema politico soffocante che impedisce altrimenti l’espressione delle richieste popolari, hanno portato migliaia di persone a scendere in strada per dare vita a manifestazioni di massa che sono state represse con la violenza. Il governo algerino sta affrontando la situazione col classico sistema del bastone e della carota: da una parte ha annunciato un taglio delle imposte sui beni principali ed una semplificazione delle procedure di importazione, mentre dall’altra parte –al pari della vicina Tunisia- sta usando fuoco e sangue per reprimere le proteste, minacciando tutto il peso della legge sugli esponenti più in vista ed affermando –in concerto con gli alleati internazionali- che tutto quello che sta succedendo sia dovuto ad una mano invisibile che vuole destabilizzare il paese, con un evidente riferimento alla minaccia jihadista. L'Algeria, forte presidio della lotta contro la diffusione del fondamentalismo islamico nel Maghreb, è anche il maggiore esportatore di gas ed ha un ruolo chiave quale fornitore di energia per l’Europa.

E’ vitale pubblicizzare e sostenere quanto più possibile la lotta dei popoli del Nord Africa. Il modo migliore per fermare la diffusione del fondamentalismo nella regione non è certo quello di appoggiare i corrotti governi oligarchici dei fedeli seguaci delle politiche di austerità del FMI, le quali sono proprio la causa dello sviluppo del fondamentalismo e della sua diffusione nelle aree più povere della società. E’ necessario promuovere mutamenti strutturali di base nel campo dell’economia e delle politiche sociali, mutamenti che possano migliorare il livello di vita delle masse e promuovere il loro coinvolgimento nella politica su basi di autonomia e di controllo crescente sulle ricche risorse naturali della regione.

E’ chiaro che questa politica non va bene alla “comunità internazionale”, i cui interessi invece richiedono “un clima politico favorevole” agli investimenti ed al controllo sulle materie prime strategiche nella regione, che vanno a vantaggio dei numerosi Stati occidentali che se le accaparrano a poco.

Gli unici soggetti che possono aprire la via per un Maghreb laico con vere democrazie fondate sulla giustizia sociale sono proprio i movimenti popolari, nati dal grembo della classi oppresse, che lottano per i loro interessi in una battaglia senza tregua contro la frusta che le affligge. E noi dobbiamo rafforzare i nostri legami con loro.

Manu García
10 January 2011

Traduzione a cura di FdCA – Ufficio Relazioni Internazionali

giovedì 13 gennaio 2011

REFERENDUM ACQUA : BATTERE LE POLITICHE LIBERISTE SI PUO’

REFERENDUM ACQUA : BATTERE LE POLITICHE LIBERISTE SI PUO’

Con il via libera della Corte Costituzionale a due dei tre quesiti referendari promossi dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua una prima vittoria è già stata conseguita.

Abbiamo sempre detto che “si scrive acqua e si legge democrazia”, ovvero che, su un bene essenziale che a tutti appartiene, devono essere le donne e gli uomini di questo Paese a poter decidere : ora tutto questo diventa possibile e nella prossima primavera il popolo italiano potrà pronunciarsi.



E potrà finalmente decidere se l’acqua debba –come i movimenti chiedono- essere riconosciuta un bene comune e un diritto umano universale o continuare ad essere considerata una merce per i profitti dei capitali finanziari e delle grandi multinazionali.

E’ questo il secondo risultato già conseguito: per la prima volta, il pensiero unico del mercato non è più una legge divina, inconfutabile e indiscutibile, bensì una scelta politica, che come tale può essere discussa, confutata e battuta.

Lo hanno già fatto gli oltre 1,4 milioni di donne e uomini che hanno sottoscritto i quesiti referendari, lo potrà ora fare l’intero popolo italiano.



E’ con grande soddisfazione che ci apprestiamo quindi a lanciare la fase decisiva della battaglia per la ripubblicizzazione dell’acqua, un percorso che ha permesso a questo Paese di confrontarsi con una nuova realtà : una amplissima coalizione sociale dal basso, senza padrini politici, senza potentati economici e nel più totale silenzio dei grandi mass media, che è riuscita ad imporre all’agenda politica e istituzionale un tema fondamentale come quello dell’acqua e che, per farlo, non si è affidata ad alcun vecchio o nuovo populismo rappresentativo, bensì ha costruito un percorso reticolare fatto di partecipazione e mobilitazione di tante donne e uomini alla loro prima esperienza di attivismo sociale, di connessione tra comitati locali, reti e associazioni nazionali, di obiettivi comuni tra culture ricche e differenti.

Da questo punto di vista, la chiarezza con cui la Corte ha cassato il quesito sull’acqua proposto dall’Italia dei Valori va salutata con altrettanta soddisfazione : perché era un’iniziativa che cercava –in modo peraltro confuso e contradditorio- di mettere il cappello su un’esperienza che cappelli non ne ha mai voluti : il referendum è uno spazio pubblico a cui vogliamo che tutti partecipino, non uno spazio privato di cui qualcuno possa impossessarsi.



La battaglia dell’acqua è un percorso che viene da lontano e che ha sedimentato in anni di lavoro una nuova narrazione sui beni comuni, un percorso fatto di proteste e di proposte : alle lobbies di Federutility e di Anfida ( i poteri forti della privatizzazione dell’acqua), a cui piace denigrare dicendo che vogliamo trasformare l’Italia nella Corea del Nord, diciamo che una nostra proposta di legge, con oltre 400.000 firme giace da oltre tre anni nei cassetti delle commissioni parlamentari, senza che alcuna delle attuali forze politiche parlamentari si sia posta il problema di leggerla o di discuterla.



Ma non potranno nascondersi oltre : da subito, non solo chiediamo, ma esigiamo che sia approvato un decreto di moratoria sugli effetti dell’attuale ‘Legge Ronchi’ : troviamo infatti inaccettabile, nel merito e nel metodo, che su una normativa che tra qualche mese potrebbe essere abrogata, si continui a procedere, accelerando le privatizzazioni in tutti i territori.



Chiediamo inoltre, e faremo tutti i passi istituzionali necessari, che si opti da subito per l’accorpamento della data del voto referendario con quella delle prossime elezioni

amministrative : una richiesta di buon senso in un paese normale, un obiettivo di lotta in questo paese dalla democrazia smarrita.



Adesso si apre la fase più importante di questa battaglia di civiltà : ottenuti i referendum, occorre costruire una sorta di grande agorà, di confronto e discussione capillare in ogni angolo del paese per costruire conoscenza e partecipazione.

Con una grande consapevolezza di partenza : con i referendum sull’acqua –e il concomitante quesito contro il nucleare- si apre per questo paese la straordinaria opportunità di conseguire, dopo decenni, una prima grande vittoria popolare contro le politiche liberiste.



Per questo riteniamo che il filo comune che lega le mobilitazioni per l’acqua a tutte le lotte territoriali per i beni comuni, alle mobilitazioni studentesche e del mondo della ricerca e della formazione, alle lotte dei precari e dei lavoratori metalmeccanici debba divenire trama di un nuovo tessuto sociale che, sulla riappropriazione collettiva dei diritti sociali e dei beni comuni e sulla loro gestione partecipativa, indichi un nuovo modello di società.



Fuori dalla loro crisi, dentro le nostre speranze di futuro.



Marco Bersani

Attac Italia

domenica 9 gennaio 2011

I COBAS CONVOCANO LO SCIOPERO GENERALE per il 28 GENNAIO

Dopo l'USI, l'adesione dei COBAS e la convocazione dello sciopero generale in coincidenza con la giornata di sciopero dei metalmeccanici, indetta dalla FIOM, è un ottimo segno che va verso l'unificazione delle lotte dei lavoratori, al di la delle sigle sindacali.

--------------------------------------------------
I COBAS CONVOCANO LO SCIOPERO GENERALE per il 28 GENNAIO
Il potere economico e politico liberista, che ha trascinato l’Italia e parte
del mondo nella più grave crisi del dopoguerra, invece di pagare per la sua
opera distruttiva, cerca di smantellare ciò che resta delle conquiste sociali,
politiche e sindacali dei salariati/e e dei settori popolari.

Nell’ultimo biennio il governo Berlusconi, sulla scia del centrosinistra
prodiano, ha cancellato centinaia di migliaia di posti di lavoro nelle
fabbriche e nelle strutture pubbliche (a partire dalla scuola: 140 mila posti
in meno ed espulsione in massa dei precari), ingigantito il precariato
lavorativo e di vita, imposto catastrofiche "riforme" della scuola e dell’
Università, nel Pubblico Impiego bloccato i contratti e con il decreto Brunetta
sequestrata la contrattazione e i diritti lavorativi e sindacali, come fatto a
livello generale con il "collegato lavoro".

In parallelo, il capo-banda Fiat Marchionne guida l’assalto di un padronato
parassitario e aggressivamente reazionario contro ciò che resta dei diritti
degli operai, sperimentando alla Fiat la riduzione dei lavoratori/trici a "neo-
schiavi" dell’arbitrio padronale. In queste settimane, però, il movimento
antiliberista ha rialzato la testa e, grazie al forte contributo del movimento
studentesco, in rivolta contro le umilianti "riforme" Gelmini, sta delineando
un potenziale fronte sociale unito antipadronale e antigovernativo.

L’accordo fascistoide che Marchionne, con il sostegno del governo, della
sedicente "opposizione" parlamentare (con il PD in prima fila) e dei sindacati
collaborazionisti Cisl e Uil, vuole imporre a Mirafiori - dopo quello infame di
Pomigliano - può essere la goccia che fa traboccare il vaso.

I COBAS stanno lavorando perchè l’accordo ignobile venga respinto dal NO
referendario dei/lle lavoratori/trici Fiat, ma ritengono anche decisivo che
venga esteso a tutti/e i/le lavoratori/trici lo sciopero che la Fiom ha indetto
per i metalmeccanici il 28 gennaio. La richiesta Fiom alla Cgil di convocazione
di uno sciopero generale non verrà mai accolta, perchè la Cgil condivide le
politiche liberiste, ha sottoscritto in questi anni ogni cedimento al padronato
e ai governi, ed è stata la principale responsabile, con Cisl e Uil, della
distruzione dei diritti sindacali e di sciopero, prima ai danni dei COBAS e del
sindacalismo di base, poi di chiunque non accettasse le politiche concertative.

SPETTA DUNQUE AI COBAS LA RESPONSABILITA’ DI CONVOCARE PER IL 28 GENNAIO LO
SCIOPERO GENERALEDI TUTTI I LAVORATORI/TRICI PUBBLICI E PRIVATI PER L’INTERA
GIORNATA, rispondendo anche alle richieste di generaliz- zazione dello sciopero
venute dal movimento degli studenti medi e universitari e da tante strutture
del conflitto sociale, territoriale e ambientale.

Mettiamo in campo il 28 il più ampio fronte sociale per battere l’arroganza
padronale e governativa, smascherare la finta "opposizione" parlamentare e i
sindacati collaborazionisti, per riconquistare i posti di lavoro, il reddito,
le pensioni, le strutture sociali pubbliche, a partire da scuola, sanità,
trasporti ed energia, i beni comuni (acqua in primis), i diritti politici,
sociali e sindacali.

CHE LA CRISI SIA PAGATA DA CHI L’HA PROVOCATA

CONFEDERAZIONE COBAS

domenica 2 gennaio 2011

Fabbrica Italia, produce schiavi.

Fabbrica Italia, produce schiavi.

L’accordo di Natale a Mirafiori va letto e riletto con attenzione. Un documento in
cui la schiavitù moderna è formalizzata con tanto di allegati e rimandi tecnici a
sistemi internazionali di organizzazione del lavoro. L’industria moderna và in questa
direzione. Torna indietro ed esprime in forma nuova il suo contenuto antico: operai
se volete sopravvivere lo potete fare solo vendendo a noi padroni la vostra forza
lavoro e noi siamo disposti a comprarla alle nostre condizioni, altrimenti?
Altrimenti morite di fame. Dopo gli operai di Pomigliano tocca quelli di Mirafiori
scegliere con un referendum, ma come andrà a finire è ancora da vedere. Andiamo con
ordine.


Il ricatto è espressamente scritto nella premessa. Mirafiori svilupperà nuove
produzioni a condizione che diventino “operative e praticabili” le norme contenute
nell’accordo e ciò sarà possibile solo se la maggioranza dei lavoratori le approverà.
Come è democratico Marchionne, o le approvate o è chiaro che rimarrete in mezzo ad
una strada. Bisogna assolutamente chiedersi come è possibile che si eserciti un
ricatto così primitivo, così assoluto, che incide sul livello di esistenza di
migliaia di persone senza che susciti nessuna reazione, nessun grido allo scandalo,
nemmeno dei campioni della democrazia. Tante volte ci siamo chiesti come la
democrazia ateniese potesse dirsi tale pur poggiandosi su una base di schiavitù, la
modernità ci ha fornito gli strumenti per capirlo. Le classi superiori possono
democraticamente mediare i loro interessi politici ed economici alla sola condizione
che qualcuno, da qualche parte, venga costretto al lavoro industriale forzato. In fin
dei conti Marchionne dallo sfruttamento dei suoi operai estrae un ricchezza che non
trattiene tutta per lui e i suoi azionisti. Una parte viene divisa socialmente per
mantenere in vita tutta la sovrastruttura politico sindacale che lo appoggia,
altrimenti perché lo dovrebbero sostenere, perché si lasciano gli operai di Torino,
soli, davanti ad una pressione del genere?

OPERAI CONTRO
www.operaicontro.it