lunedì 27 febbraio 2012

Doc. finale dell’81° Consiglio dei Delegati della Federazione dei Comunisti Anarchici

LA NUOVA EPOCA AUTORITARIA

Stiamo assistendo ad una delle più grandi trasformazioni che il
capitalismo ha nella sua ormai lunga storia elaborato e generato.
Quella che comunemente viene definita come “l’age d’or” del
capitalismo, che va dal 1945 al 1971, e che ha segnato appunto l’epoca
dell’inclusione del proletariato ai processi di accumulazione e di
ridistribuzione della ricchezza , con la necessaria sudditanza dei
sindacati e dei partiti di quella che fu la sinistra , dopo decenni
di asfissiante consociativismo, si può dire conclusa.
Evidente la fine definitiva della dimensione nazionale degli equilibri
del capitale, e quindi anche del compromesso sociale che viene ormai
consegnato alla storia di questa parte del mondo.
Evidente la modificazione degli equilibri di accumulazione del
capitale, che non avviene piùslamente attraverso l’estrazione del
lavoro vivo ma si mantiene mediante l’esproprio di interi popoli, non
più solo nei “paesi terzi” ma ora anche nella (non più) ricca
Europa. E se questo segna la fine dell’egemonia eurocentrica, con i
danni immani che ha creato attraverso lo sfruttamento dei “paesi
terzi,” mettendone in crisi per decenni la capacità di sviluppare una
qualsiasi dimensione sociale, non significa la fine del razzismo ma
il suo spostamento sulle dinamiche securitarie interne, non significa
la fine dello sfruttamento ma lo spostamento geografico degli
equilibri economici.
Evidente la tendenza all’esautorazione della democrazia, mantenendone
in piedi simulacri che nascondono appena rapporti sociale autoritari
che permettano alle elite di comando borghese di esercitare
coercizione attraverso il monopolio statale della violenza.
E in particolare in Italia il governo Monti ha avviato un processo,
già maturo in altre parti di Europa, che induce profonde
trasformazioni strutturali mediante l'uso eversivo della legislazione
ordinaria, con pesanti ricadute sul piano di diritti, del welfare,
della agibilità sindacale, sancendo di fatto la fine della
concertazione e aprendo le porte all'aziendalismo più sfrenato.
Evidente la disintegrazione sociale a causa della fuoriuscita
repentina dai sistemi di Welfare, con conseguente disastrose sul
proletariato: la povertà diffusa che ci accompagnerà per qualche
decennio, causa del ripristinato dominio di classe del grande
capitale.
Sempre più minacciosa la tentazione al ritorno della guerra su grande
scala nel più classico ruolo dell’imperialismo.
Di fronte a scenari simili il nostro compito, quello dei comunisti
anarchici e dei rivoluzionari è quello di non lasciare nulla di
intentato, dalla partecipazione alle esperienze sindacali conflittuali
a tutte quelle esperienze di classe che attraverso la ricomposizione
del mondo precario, ma non solo, si stanno affacciando sulla scena
sociale, e con le quali è indispensabile formalizzare interventi
comuni, arrivare alla definizione di aree politico economiche con le
quali sviluppare il più profondamente possibile le risposte di classe,
in un contesto federale.
E’ necessario che aree omogenee , sia dal punto di vista produttivo
che politico possano analizzare le proprie realtà per un approccio più
diretto a contrastarne le strutture di comando locali.
Dovremo impegnarci a ragionare sul collegamento tra i grandi ed i
piccoli sistemi di dominio politico e sfruttamento economico ed a
rispondere alle violenze del capitale a livello locale, nazionale ed
internazionale. Il ricorso al localismo per individuare gli anelli
della catena di comando non deve in nessun caso farci sfuggire
l’obiettivo generale della lotta al capitale ed allo Stato.
Tutte le esperienze di base che vedono il coinvolgimento dei compagni
in modo diretto sul livello del consumo, attraverso forme solidali, o
di recupero parziale , come la campagna per l’acqua pubblica, di beni
collettivi sottratti alla speculazione finanziaria, sono
indispensabili ma non sufficienti. Indispensabili sia perché creano
forme autorganizzate di resistenza e sopravvivenza e sia perché
sviluppano sperimentazione di condivisione e autogestione delle
risorse ma non sufficienti se non vengono collegate ad un comune
intento di superamento globale dell’attuale sistema economico.
Il nostro compito resta quello di lavorare per una società comunista e
libertaria, e sappiamo bene che non basterà invocarla nei nostri
scritti perché ciò si avveri, non sarà un mantra che distruggerà il
capitalismo e lo Stato, ma l’azione di uomini e di donne che
riusciranno ad immaginarsi una uscita dalle maceria prodotte, dobbiamo
ripartire, verso la costruzione di una nuova prassi
rivoluzionaria,fatta di idee e di analisi critica dell’esistente
aperta a quanti condividano con noi l’analisi e le finalità
dell’impegno rivoluzionario.
Ripartire dai bisogni, intrecciare la nostra presenza nei bisogni e
nella contraddizione sociale amplificata dalla crisi, partecipare
attivamente alla ricostruzione del movimento anticapitalistico, senza
facili entusiasmi ma con perseveranza e serietà, con la consapevolezza
dei rapporti di forza attuali e con la stessa voglia di sempre di
sovvertirli, coscienti che l’attuale basso livello del conflitto non
può essere sostituito da alcuna pretesa rappresentanza avanguardista.
I tempi saranno necessariamente lunghi, le crepe sistemiche non
bastano a confermare le nostre teorie rivoluzionarie, il capitalismo
non cadrà da se, la società borghese ed il suo sistema di potere non
si arrenderanno spontaneamente, la risposta autoritaria è in atto.
Non servirà dire che lo avevamo previsto se non saremo, tutt*, capaci
di mettere in campo risposte efficaci a contrastare questo percorso.

Fano (PU), 26 febbraio: 81° Consiglio dei Delegati della FdCA

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