domenica 29 luglio 2012

Il bluff di Draghi

Se i soldi non fossero i nostri..., sì insomma se i soldi non fossero proprio le migliaia di miliardi di euro che in questi ultimi 5 anni gli Stati della UE ci hanno risucchiato attraverso il fisco, oppure rapinato attraverso i tagli su stipendi e pensioni, servizi pubblici e posti di lavoro, oppure ancora scaricando i costi del debito pubblico su  disoccupazione e precarizzazione in una crisi al buio, allora potremmo anche pensare che il "buon" governatore della Banca Centrale Europea si stia giocando una partita a poker contro quella cricca di misteriosi speculatori e contro i sempre serviti giocatori della Buba, che barano a spese delle nostre vite e sul nostro futuro.
E' veramente lui che ha la mano buona, "enough" (sufficiente) per far calare lo spread e ridare fiato alle Borse, che basta dirlo ed accade per magia?
Se Draghi ha delle buone carte in mano, lo vedremo. Probabilmente chi gliele ha servite è stato quel benefattore del FMI ed il sorriso smagliante di madam Lagarde dopo l'annuncio di Draghi sembrava tradire una certa soddisfazione. Nel suo ultimo report annuale, infatti, il FMI consiglia interventi in grado di inondare il sistema di liquidità: cioè stampare denaro. Affermazioni scandalose per l'Europa!! E poi, ma che razza di novità sarebbe?! Non è quello che la FED ha fatto negli USA con ben due emissioni di quantitative easing (QE), a partire dal 2009, per salvare banche e crediti? Non è quello che fanno la Banca d'Inghilterra e la Banca del Giappone? Appunto. Ma in Europa non si può fare. O meglio, le due operazioni (sorta di succeddanee del QE) di LTRO (longer-term refinancing operation) pari a 1000 mld di euro effettuate dalla BCE a guida Mario Draghi a seguito dell'inizio della crisi del debito sovrano, non hanno sortito effetti reali se non concedere alle banche liquidità che invece di essere immessa nel sistema del credito in mutui e prestiti a imprese e persone, è stata usata dagli istituti di credito per approvigionarsi di titoli di stato. Dunque quali carte avrebbe in mano Draghi, su servizio del FMI (quindi leggi Fed/USA), perchè la BCE assicuri che "il suo sostegno monetario sia distribuito in modo efficace e continuare a fornire ampio sostegno alla liquidità delle banche a condizioni sufficientemente leggere"? 
Una ripresa dell'acquisto di titoli di stato per contenere gli interessi sul debito. Possibile, riattivando il SMP (securities markets programme) che era stato usato fino al 2011 per acquistare sul mercato secondario i titoli spagnoli ed italiani e poi interrotto. Oppure combinando questo strumento con i due fondi cosiddetti salva-stati ESFS ed ESM (quest'ultimo in attesa a settembre di via libera dalla Germania), peraltro non così ricchi  di disponibilità finanziarie e privi -per ora?- di autorizzazione ad intervenire sul mercato primario dei titoli (cioè acquistando direttamente dagli Stati).
Un alleggerimento delle garanzie per le banche che chiedono prestiti alla BCE, e quindi un allargamento dei titoli collaterali che si offrono a garanzia.
Un riduzione di 1/4 di punto del tasso di interesse a settembre.
Niente di nuovo, sostanzialmente. Se non fosse che la miscela di recessione e bassa inflazione che potrebbe accendersi nella UE ed influenzare prezzi e transazioni, preoccupa non poco i profitti dell'altra parte del mondo che invece non conosce crisi o ne sta uscendo, siano i paesi BRICS, gli USA o altri emergenti ancora.
Se la rivoluzione non è un pranzo di gala, come disse qualcuno, è forse ancora più vero che l'uscita dalla crisi non è una partita a poker a cui possiamo continuare ad assistere in veste di servitori di liquidità, di beni e di risorse comuni e collettive.
Il nostro protagonismo, il protagonismo di lavoratori, precari, disoccupati sta nella lotta per la redistribuzione delle ricchezze, per la riappropriazione dei beni collettivi, per la socializzazione dei servizi pubblici, per la proprietà collettiva dei mezzi di produzione e di distribuzione.
Al bluff di Draghi, preferiamo la ripresa della lotta di classe.
 
FdCA- 28 luglio 2012

giovedì 19 luglio 2012

mercoledì 18 luglio 2012

Condanna preventiva

A 11 anni dal 2001, in perfetta media con i tempi giudiziari di una repubblica che ha dimenticato da tempo lo stato di diritto, sono finalmente arrivate le sentenze sui fatti di Genova. Sentenze esemplari, le sentenze di cui avevano ovviamente bisogno gli apparati di questo Paese.
Una sentenza a posteriori, per dire che, sì, di fronte a reati gravissimi  contestati a livello internazionale c’è stato qualcosa che non ha funzionato, ma in fondo  si tratta di peccati veniali  per i fedeli servitori dello Stato, nel frattempo come sappiamo promossi e allocati altrove, con percorsi perfettamente bipartisan. A cui fa il paio  una sentenza che condanna con pene spropositate gli autori identificati di devastazione e saccheggio. Inutile parlare dei fatti: tutti e tutte sappiamo tutto, questo è un paese in cui la verità politica diventa verità storica, a volte ma non sempre, ma quasi mai verità giudiziaria, e possiamo  e dobbiamo ripetercelo e ricordarcelo. Perchè noi sappiamo che a Genova, come a Seattle e a Ottawa, avevamo ragione noi, (noi sei miliardi, loro G8) a chiedere, a pretendere un’inversione di rotta che non c’è stata, a spiegare che il liberismo ci stava portando a una rovina di cui ora lor signori ci chiedono, con la  faccia tosta e i Manganelli, di pagare il conto.
Più importante, forse, capire e prendere atto che la condanna a Ines, Alberto, Marina, Francesco, Carlo, Antonino, Luca, e ancora a Carlo è in realtà una condanna preventiva a tutti coloro che intendono prossimamente continuare a reagire  alla violenza di fatto  condotta giorno dopo giorno contro i lavoratori  e gli abitanti di questo paese, a cui governi tecnici fin troppo politici espropriano diritti, conquiste e spazi di vita e di libertà.
Dimostra che contare sulle leggi e sull’imparzialità del diritto - ormai quasi nessuno più conta su possibili governi amici, se  non altro se è in buona fede-   è un’utopia molto più  inutile del continuare a lottare, dimostra che occorre trovare e perseguire forme di lotta che uniscano e non dividano, mettere in moto intelligenze politiche in grado di fermare, come granelli di sabbia, i meccanismi del potere che ci stritolano quando cadiamo nelle loro grinfie.
Perché, oggi come allora, non possiamo permetterci di arrenderci, né  di giocare al loro gioco a perdere.  
FdCA -  15 luglio 2012
Documento riassuntivo sulla base delle considerazioni emerse nel 82 Cdd FdCA

Tutto tace
Tutto tace di fronte a una delle più massacranti offensive condotte dal padronato, che appare ormai vincitore su tutta la linea, una offensiva in atto dagli assi ormai chiari da tempo.
E  poiché i padroni quando distruggono contemporaneamente   costruiscono  a loro vantaggio  è sempre più evidente un progetto  di riorganizzzazione complessiva  e di ridefinizione sociale che investe tutta la società e che ovviamente  parte dal mondo del lavoro, e dalle sue forme organizzate, in cui le forme sindacali  rivendicativo- conflittuali vengono progressivamente espulse dai luoghi di lavoro
L'art. 18, ormai relitto del passato è stato  il punto culminante  di un processo di destrutturazione legislativa durata circa  un decennio  e che si affianca all'indebolimento e all’ esautoramento delle capacità
contrattuale dei lavoratori.
La ristrutturazione ormai completamente delineata comprende
- riduzione dei posti di lavoro
- riorganizzazione della produzione e dei settori
- centralizzazione della precarietà
- spostamento della contrattazione  dal livello nazionale a quello aziendale e  creazione di un sindacato aziendale
- progressiva espulsione delle residue forme sindacali  conflittuali, o meramente rivendicative, dai posti di lavoro.
L'attacco al lavoro pubblico  con le stesse modalità già  viste nel privato  (già praticata l'esautorazione contrattuale, già prevista la riduzione del livello salariale) rischia  nella migliore delle ipotesi di avere una possibilità di risposta esclusivamente formale ma nella sostanza di semplice gestione delle strategie di tagli già previste nell'intesa   firmata  a suo tempo  dove i sindacati firmatari si pongono come cogestori e garanti della pace sociale. E se CISL e UIL  hanno da tempo fatto una scelta netta a favore di privatizzazione e sussidiarietà, assicurazioni per i ricchi e diritti universali, ovvero miserrimi,  per i poveri,  come strategia di gestione di quella che allora si chiamava globalizzazione, scommettendo sulla governabilità di processi che invece si dimostrano sempre più ingovernabili,   la CGIL  invece scegliendo di fatto di  non scegliere, vittima e ostaggio dell’istinto  di autoconservazione della sua burocrazia, non è stata capace di contrapporre alcuna strategia e si mostra ora in piena deriva tra aperta complicità, scelte adattative e ultimi colpi di coda conflittuali, mentre  il sindacalismo di base oscilla tra testimonianza di sé e sindrome da tela di Penelope.
Il tutto in uno  scenario europeo  di ristrutturazione complessiva dell'eurozona, in cui noi siamo  tra le aree più deboli,  in cui non sarebbe stato comunque semplice mantenere  in buona salute un’organizzazione rivendicativa  e conflittuale, al termine di una ristrutturazione del diritto di lavoro, con  un quadro politico ovviamente schierato, e rapporti di forza sfavorevoli ai lavoratori, e in assenza di un sia pur minimo coordinamento transnazionale tra forze sindacali.
E se altrove in Europa, ad esempio in Spagna, forme di lotta continuative  e partecipate, pur non riuscendo ad fermare la devastazione padronale, continuano a tessere resistenze, o come in Francia, si manifestano  forme di riottosità elettorale ai diktat liberisti, in Italia ogni forma di rappresentanza di opposizione, che sia  istituzionale o di base, continua a brillare per la propria assenza o inconsistenza.
Un’anomalia tutta italiana che ha a che fare con la ormai incancrenita questione della rappresentanza  oltre che con il venir meno, in questo paese, dei più elementari principi democratici, dalla separazione dei poteri alla proporzionalità delle pene (vedi le ultime uscite per via giudiziaria dei conflitti sociali)  alla non ingerenza tra stato e chiesa, alla piena compenetrazione tra poteri politici ed economici sia in chiave affaristica che legislativa.
Sembra non esserci via di scampo per  chi non fa parte dell’élite garantita e garantente, che agita principi fintemente meritocratici per continuare a dare risorse a chi ne ha e a toglierle a chi non ne ha, che  chiede la sicurezza dell’impunità dei privilegi accanendosi contro i più deboli e contro ogni forza residua di resistenza.
Ma anche se sembra inutile, se il rapporto tra il costo delle lotte e il loro risultato sembra già scritto, se sembra persa la consapevolezza di poter se non invertire o fermare certi processi almeno rallentarli, se il padronato ha portato a casa quello che voleva le lotte continuano. Continuano a macchie di leopardo, continuano con sforzo e testardaggine degna di miglior causa, continuano  nei settori  più difficili, dove le condizioni di sfruttamento sono le peggiori, come nel settore della logistica, dove le lotte si perdono, ferocemente, ma si fanno, in maniera altrettanto disperata, al di là della rappresentanza sindacale, con la tenacità di chi non ha molto da perdere, e riscopre forme di lotta, di organizzazione e di auto-organizzazione, vecchi e nuovi al tempo stesso. Così come non ha nulla di nuovo, ma ha ancora molto da dire, il cercare di  mettere in  rapporto chi svolge un'attività sindacale dentro il posto di lavoro, con chi vive un territorio sempre più ostile e desertificato, esistenze sempre più precarie, che al particolare della propria condizione affiancano l’ attenzione alle forme di difesa dei beni comuni e di  collettivizzazione che sta emergendo nell'ultimo periodo. Il  conflitto,   che esca volontariamente  o sia buttato  fuori dalle fabbriche,    si riversa ed è agito sul territorio, cerca sbocchi e ne deve trovare.
E se  il conflitto di classe passa prioritariamente  per i  precari e per i migranti, dove  è più alto il grado di sfruttamento,  e  le lotte sul lavoro non possono che coincidere con richieste di diritti e di partecipazione, con    forme di intervento dove all'intervento sindacale in senso stretto si affianca  la centralità dei diritti e della cittadinanza, nei posti di lavoro cosiddetti garantiti, che garantiti non sono e non saranno più,  l’attività sindacale, con una sia pur minima possibilità di incidere, deve resistere e riorganizzarsi, al di la delle burocrazie e delle indicazioni dall’alto,  portare a casa quello che si può nella contrattazione, resistere alla riorganizzazione del lavoro, mantenere aperti spazi di agibilità. Perché i diritti conquistati cessino di sembrare privilegi, e siano quindi difesi e difendibili,  è necessario condividere e prestare sponde a tutte le forme di resistenza materiale e simbolica.  Dovunque possibile, sia  in forma organizzata, sia in forme riconducibili al sindacato urbano,   sia in tutte quelle forme che è possibile darsi e sperimentare, dal basso e dalla solidarietà di base nei luoghi di lavoro e nel territorio. Per resistere al capitalismo  che continua a fare il suo sporco lavoro, magari invertendo  il percorso della  ricchezza  che dopo decenni  nelle nostre aree  invece di essere portata dentro viene portata altrove, per resistere alle campane della destra, dell’individualismo e del razzismo, le più facili, e perniciose, possibili  proposte di uscite dalla crisi. 
Tutte da scartare. L’unica è l’alternativa libertaria.

sabato 14 luglio 2012

VITTIME  SACRIFICALI  PER GENOVA 2001


LA SENTENZA DI CONDANNA DELLA 1° CORTE DI CASSAZIONE NEI CONFRONTI DI 10 COMPAGNI/E  E’ NEL SEGNO DELLA “ RAGION  DI  STATO”.

Per la “ragion di Strato”, qualcuno del movimento che si oppose al G8 di Genova 2001 doveva pagare : il mostruoso reato fascista di “ devastazione e saccheggio” è servito per condannare a prescindere da qualsiasi azione effettivamente svolta da ciascuno.
INGIUSTIZIA E’ FATTA !
Sentenza feroce, cinica,ridicola , in quanto resta incredibile che la tragedia vissuta a Genova nel luglio 2001 possa essere stata prodotta e gestita da 10 persone !
Delle due l’una , se a Genova c’è stata “ devastazione e saccheggio” , questa non può che essere stata agita da centinaia , se non migliaia di persone – noi tutte/i 300.000 ! – viceversa , “ devastazione e saccheggio” non c’è stata, allora i 10 selezionati senza prove evidenti dovevano rispondere solo di eventuali reati specifici, invece sono stati utilizzati come capri espiatori !
Nel clima torbido e complice del dopo Genova e che ha impedito l’insediarsi di una Commissione di Inchiesta - al fine di rilevare il ruolo svolto dal governo Berlusconi, dalle Istituzioni e dalle forze dell’ordine -  sono intervenuti i giudizi e le condanne sommarie delle Corti Genovesi nei confronti dei  no global e le pesanti reticenze-blandizie verso l’intera catena di comando dei violenti criminali di Stato, responsabili delle sevizie e torture di Bolzaneto e Diaz, dell’assassinio di Carlo Giuliani.
La 1° Corte di Cassazione aveva la possibilità di riparare a questa gravissima lesione dello stato di diritto , eliminando la cortina fumogena della “ devastazione e saccheggio” e rinviando ad un nuovo processo solo per i reati specifici, libero cioè dagli orpelli e dai condizionamenti istituzionali.
Ha prevalso la “ ragion di stato” , che se ne frega di “ LA LEGGE E’ UGUALE PER TUTTI “, stante la evidente sproporzione che passa tra le miti condanne per la Diaz , senza che i criminali di Stato facciano un sol giorno di carcere , e l’abnorme condanna a oltre 10 anni in media da scontare per i no global ; la sentenza per 5 di loro – Ursino , Arculeo, Cuccomarino,Valguarnera, Finotti – pur mantenendo la “ devastazione e saccheggio” , rinvia alla Corte di Appello di Genova per la possibilità o meno di riconoscergli le “attenuanti generiche”,che danno diritto allo sconto di 1/3 della pena : per le/i compagne/i  Marasca, Cugnaschi, Funaro, Pugliesi, Vecchi , c’è il carcere !

“ GENOVA NON E’ FINITA” , dice lo slogan coniato per la campagna “ 10 x 100 “ , che ieri a Roma ha mobilitato per l’intera giornata, da sotto la Cassazione al lungo e partecipato corteo partito da p.za Trilussa e transitato al Ministero di Giustizia , mentre nelle altre città si svolgevano altrettante iniziative di sostegno ai 10 compagni/e .
“ Genova non è finita” , perché il clima che si respira oggi , tra tagli e distruzione dei beni,servizi, diritti, salari e pensioni , è una falcidia infinita che punta ad annichilire i lavoratori e i ceti popolari di tutta Europa.
Di questo si parlerà tra pochi giorni a Genova durante l’11° anniversario della morte di Carlo Giuliani , così come in altre occasioni – è in preparazione per novembre l’iniziativa “ Firenze 10 anni dopo” – verrà messa a punto una intelligenza comune , per permettere un piano di azione per contrastare la deriva liberista e reazionaria del governo Monti  e di chi lo appoggia.

Con amore e rabbia a fianco dei compagni/e condannati per Genova 2001.
LIBERI TUTTI

Roma 14.7.2012                                      CONFEDERAZIONE  COBAS