sabato 29 dicembre 2012

In Egitto come in Francia, dicialo no al fascismo!


In un contesto di crisi capitalista, le rivolte popolari si stanno espandendo da diversi anni. In Egitto, la rivolta aveva assunto una dimensione rivoluzionaria con la cacciata di Mubarak. Ma è stata ostacolata fin dall'inizio dalla dinamica contro-rivoluzionaria del fascismo religioso. 

I Fratelli Musulmani, dopo essersi tenuti attentamente alla larga dalla rivolta popolare, una rivolta che essi non avevano iniziato, sono stati chiamati a fare da ruota di scorta dalla borghesia egiziana insieme a tutta la borghesia occidentale.

Giocando il ruolo storico che le correnti fasciste – indipendentemente dal fattore religioso – hanno sempre svolto, i Fratelli Musulmani hanno assunto una posizione pseudo-rivoluzionaria per ottenere l'accesso al potere politico, diventando così lo strumento reale della riscossa controrivoluzionaria.

In Egitto, i Fratelli Musulmani, storicamente sostenuti dall'imperialismo britannico per controbilanciare il movimento indipendentista ed il movimento operaio, si sono organizzati sulla base di un'ideologia che è stata definita da Sayyid Qutd - come senza dubbio ideologia fascista-religiosa. Come i fascisti in Francia ed in qualunque altra parte del mondo, i Fratelli Musulmani portano avanti una cosiddetta dimensione "sociale" mentre nello stesso tempo si oppongono con la violenza alle lotte dei lavoratori, sviluppando una visione razzista ed anti-semita del mondo,  per guidare una "rivoluzione" nazional-religiosa.

Al pari dei fascisti francesi che difendono un "capitalismo nazionale", i Fratelli Musulmani sostengono un "capitalismo musulmano" che non è altro che la formula ideologica degli interessi della borghesia egiziana.

Le prime misure prese da Morsi, sotto l'infuenza dei Fratelli Musulmani, sono state dirette contro il movimento dei lavoratori. Possiamo ricordarne alcuni esempi: la messa al bando degli scioperi, la criminalizzazione degli attivisti sindacali, e la volontà di mettere sotto controllo i sindacati operai, pienamente in linea con i desiderata del sindacalismo fascista verticistico e corporativo. Ma ci sono state anche misure contro le donne e contro le minoranze religiose.

Dopo essersi alleati con la giunta militare dello SCAF (Consiglio Supremo delle Forze Armate, ndt), i Fratelli Musulmani sono emersi come i rappresentanti più efficienti della borghesia egiziana. 

Ora, stanno cercando di instaurare un regime fascista-religioso tramite un "atto di forza". Stanno cercando di giustificare tale atto dicendo che il loro scopo è quello di liquidare il vecchio apparato statale di Mubarak, mentre ne tengono la gran parte in piedi - fatta eccezione per pochi subalterni portati in processi solo di nome.

In realtà questo atto-di-forza punta a liquidare le lotte dei lavoratori come dimostrato dal giro di vite imposto agli scioperanti ed agli attivisti sindacali per la lotta di classe. Tra le vittime di questo giro di vite ci sono 3 compagni, militanti del Movimento Solidarietà Libertaria egiziano:  Mohamed Serag El-Din, Mohamed Ezz ed Ali El-Kastawy.

Per giustificare questo atto-di-forza, si cerca di nascondere tutto sotto una impiallacciatura democratica facendo ricorso ad un referendum organizzato in circostanze sospette. 

La Coordination des Groupes Anarchiste esprime la sua solidarietà alle donne egiziane ed alla classe lavoratrice affinchè insorga nuovamente, questa volta contro il fascismo religioso. Affermiamo in particolare il nostro appoggio ai compagni anarchici egiziani che lottano per l'alternativa anarchica, nel cuore della rivolta popolare, come un muro contro l'autoritarismo militare e fascista.

In Egitto come in Francia, il fascismo è una cancrena: se non lo sradichiamo, finirà con l'ucciderci!

28 Dicembre 2012

Coordination des Groupes Anarchistes

 (traduzione a cura di FdCA-Ufficio Relazioni Internazionali)

sabato 15 dicembre 2012

Accanto ai lavoratori delI'Ilva, che non cedono il loro diritto alla salute

Accanto ai cittadini di Taranto, che rivedicano il loro diritto a lavorare  per vivere, non per morire.
Taranto è l'emblema del fallimento della classe imprenditoriale italiana che ha cercato di galleggiare sulla crisi riducendo i costi del lavoro e delle tutele ambientali, invece che investire per ammodernare impianti e tecnologie, contando sulla scontata complicità di uno dello Stato.

Taranto è l'emblema del fallimento  di una classe politica nazionale, incapace di occuparsi del paese reale da sempre, incapace di ogni politica industriale e di ogni parvenza di pianificazione e indirizzo della cosa pubblica, pronta a favorire padroni e padroncini, ed è l’emblema di una classe politica locale preoccupata nella migliore delle ipotesi  delle proprie compatibilità.

Taranto è l'emblema il simbolo del fallimento della scelta legalitaria, del pensare che le leggi bastino a se stesse, anche se non ci sono rapporti di forze utili a farle rispettare.

Taranto  è l'emblema dell'impossibilità di sopravvivere al presente, anche da parte dei lavoratori e dei sindacati, se non si riesce a immaginare un futuro diverso.

E da Taranto bisogna ripartire.

Quello che si farà all'ILVA di Taranto dipende da quanto i lavoratori dell'ILVA riusciranno a imporre la loro presenza, la loro competenza, la loro conoscenza dei cicli produttivi nelle scelte di bonifica e di messa in sicurezza  degli impianti, la loro partecipazione al percorso decisionale e di controllo. Da quanto in questo saranno capaci di coinvolgere i loro compagni dell'ILVA nel resto d'Italia, perché se a Taranto si muore di lavoro non è che in Liguria si festeggi. E dall'infame e scontato  ricatto padronale bisogna uscire, tutti insieme. E se, o visto che, alcuni sindacati questo non riescono proprio a capirlo, solo i lavoratori possono farglielo capire.

E  se fosse che quello che si farà oggi all'ILVA di Taranto non diminuirà i morti per i prossimi dieci anni,  quello che i cittadini di Taranto  riusciranno a fare per modificare le politiche sanitarie regionali potrà forse farlo.  Visto che si muore di più, a Taranto, se si abita a Tamburi, in un quartiere popolare, e  non si può andare a farsi curare al nord. Altro che tagli alle spese regionali per la sanità! Perchè se oggi si sa quello che succede a causa dell'ILVA di Taranto, e di tante altre realtà produttive che producono sulla pelle dei lavoratori e delle lavoratrici, e delle loro famiglie, a Taranto come a Priolo, come anni fa a Bagnoli e all'Acna di Cengio, è grazie a chi ha denunciato e denuncia, e a chi raccoglie queste denunce di base. Perché ora sono i numeri a dire che se si è poveri si muore di più, perché si è curati di meno, o si curati peggio.

E perché se un futuro diverso è possibile, va costruito insieme. Perché a Taranto si lavori per vivere, all'ILVA come altrove, e non per morire.

Federazione dei Comunisti Anarchici - Puglia