martedì 24 dicembre 2013

LA PRODE LANZILLOTTA E I PALADINI DELLE PRIVATIZZAZIONI

 In barba a tutti i referendum anti-privatizzazioni, nella commissione bilancio del Senato è stato votato un emendamento presentato dalla senatrice di Scelta Civica, Lanzillotta, riguardante il decreto “Salva-Roma”.

Questa modifica vincola le risorse per finanziare il bilancio di Roma alla privatizzazione, tranne che dell'ACEA, delle altre aziende pubbliche e alla possibilità di licenziamento per quelle in perdita.

Ora non sappiamo quale sarà l’esito finale dei passaggi parlamentari, ma purtroppo chi grida o griderà allo scandalo o è in mala fede oppure non si rende conto della poca consistenza dell’istituzione referendaria nella democrazia capitalista. Se infatti i quesiti referendari non sono sostenuti da una reale forza di opposizione nei territori che pratichi l’azione diretta a sostegno degli stessi, gli speculatori capitalisti non perderanno tempo a riconquistare quel terreno solo formalmente perso con i risultati dell’ultimo referendum.

Specialmente in un periodo come questo dove, a causa delle ridotte possibilità di profitto, gli speculatori rivolgono le loro fameliche fauci capitaliste nei confronti dei beni comuni e delle risorse collettive.
Questa vicenda dimostra ancora una volta che per avere dei servizi pubblici efficienti e inattaccabili dagli speculatori c’è bisogno del controllo diretto degli organismi territoriali dei lavoratori e delle lavoratrici. La gestione pubblica, così come concepita dagli enti statali centrali e territoriali, non è sufficiente a garantire che le risorse collettive non cadano nelle mani del mercato capitalista, così come, d’altra parte, non è sufficiente a garantire che le aziende pubbliche non diventino terreno di pascolo della corruzione legata al mantenimento del potere dei partiti borghesi, così come non è sufficiente a impedire il connubio tra enti pubblici e imprese private nel perverso gioco delle tangenti legate alla sussidiarietà.

Questa vicenda dimostra ancora una volta, inoltre, che a difendere gli interessi immediati delle classi subalterne non possiamo delegare lo Stato e le sue diramazioni territoriali, così come non possiamo affidarci alla democrazia come la conosciamo, sia quella rappresentativa sia quella della pratica referendaria se non supportata dalla nostra azione diretta nei territori, che deve passare attraverso la nascita di forme organizzative orizzontali che esercitino un controllo e sviluppino vertenzialità con enti e gestori per smascherarne sprechi burocratici e metterne in evidenza la lontananza dalle esigenze reali delle classi sfruttate.
 Solo il controllo diretto degli organismi territoriali dei produttori può impedire fenomeni come la “parentopoli” dell’ATAC; solo il controllo diretto dei lavoratori e delle lavoratrici può impedire spese inutili come quelle legate ad un numero spropositato del parco dirigenziale; solo il controllo diretto dei produttori può garantire una gestione razionale, socialmente ed ecologicamente etica delle risorse collettive.
 
21 Dicembre 2013
Federazione dei Comunisti Anarchici
Sez. di Roma - Luigi Fabbri

sabato 21 dicembre 2013

SCORCIATOIA NAZIONALISTA O AUTODETERMINAZIONE DI CLASSE?


Aumenta incontrastata la pressione del Capitale europeo nei confronti delle classi subalterne del continente, che in una fase di contrazione produttiva e di conseguente riduzione delle risorse, concentra la sua attenzione famelica su più fronti.
Sul fronte del lavoro assistiamo al continuo restringimento delle conquiste e dei diritti acquisiti in decenni di lotte dai lavoratori e dalle lavoratrici, con lo scopo evidente da una parte di ridurre all’osso i costi produttivi, a favore del profitto, e dall’altra di contrastare la risposta, se pur ancora insufficiente, della classe lavoratrice, con il tentativo di espellere dalle fabbriche qualsiasi forma di reale dissenso, specialmente se esso veste i panni rappresentativi dell’autorganizzazione e dell’autonomia di classe. Tale attacco si traduce in espansione del lavoro non contrattato, aumento degli orari lavorativi con basse tutele e bassissimi salari e conseguente aumento dell’ intensità dello sfruttamento.
Intanto continua e s’intensifica l’assalto alle risorse ed ai beni collettivi. Abbiamo visto che fine hanno fatto i referendum sull’acqua: la vittoria elettorale non supportata da una reale dimostrazione di forza nei territori, non è servita ad arrestare la tendenza alla privatizzazione delle risorse collettive. E così come sempre avviene in un periodo di crisi economica e di ulteriore impoverimento delle classi sociali più deboli, i capitalisti aumentano le loro ricchezze con la svendita delle proprietà pubbliche mobili ed immobili; spesso usando la scusa del ripianamento del debito pubblico, nascondendo ad arte che non è nemmeno con delle entrate una tantum che si possono risarcire gli sprechi del parassitismo borghese. Siamo al piglia adesso più che poi, grande esempio di lungimiranza capitalista! La stessa lungimiranza che non fa mollare l’osso del TAV allo Stato e al Capitalismo italiano, pubblico e privato, allettati dai guadagni facili veloci e devastatori, alimentati dalle risorse pubbliche.
Lo stesso avviene per il welfare, che dopo decenni di lotte sindacali e sociali era considerato uno dei più avanzati dell’occidente, e che subisce oggi un’erosione continua ed inesorabile, mettendo sempre più in discussione concetti che ritenevamo inattaccabili, come quelli di istruzione e assistenza sanitaria accessibili e di qualità per tutti. Per non parlare delle pensioni, che dopo aver subito la speculazione dei cosiddetti “fondi pensione”, sono sempre più ridotte, per i sempre più rari fortunati che ne beneficeranno, a puri simulacri di sopravvivenza. In un momento in cui, a causa della deindustrializzazione, con l’aumento della disoccupazione dovuta alla chiusura di fabbriche ed alle ristrutturazioni, sarebbe necessario un intervento nella modifica degli ammortizzatori nel senso della loro estensione alle decine di migliaia di lavoratori rimasti senza reddito.
Il tutto avviene in un contorno dominato da una profonda crisi delle rappresentanze storico-istituzionali, politiche e sindacali della sinistra, che vuoi per incapacità e/o per complicità, non riescono più a impersonare, nemmeno parzialmentele esigenze delle classi sociali subalterne.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la deindustrializzazione con la progressiva chiusura delle fabbriche; l’aumento dell’esercito dei disoccupati, i suicidi di chi non riesce più a garantire una vita dignitosa a se stessi e ai propri cari; la privatizzazione dei servizi integrati con il conseguente peggioramento della gestione e l’aumento delle bollette; la progressiva distruzione della sanità e della scuola pubbliche; la distruzione del nostro patrimonio naturale; l’inquinamento di interi territori con la scusa della produzione necessaria al mantenimento dell’occupazione. Un generale impoverimento sociale ed economico che colpisce prevalentemente e con più intensità le classi storicamente sfruttate dal Capitale ma che intacca oggi anche la prosperità del cosiddetto “ceto medio”, il cui malcontento, così come storicamente accade, viene pilotato ed orchestrato ad arte dalla destra fascista, protetta e sostenuta dalle forze di Stato. Mentre ben altra sorte tocca a tutte le manifestazioni di dissenso e di opposizione sociale che si rifanno ai valori solidali  e di classe della sinistra.
Oltre alla crisi strutturale del capitalismo ciò che determina questo scenario sono anche le politiche imposte dalle grandi borghesie europee, specialmente quelle finanziarie, degnamente supportate dalla BCE, che impone in tutta Europa la sua dittatura finanziaria fatta di autoritarismo padronale e di vincoli di bilancio.
In questo panorama c’è chi propone soluzioni nazionaliste come l’uscita dall’euro ed il ritorno alla moneta nazionale, il tutto condito dagli slogan tipici dell’ultra destra fascista ed identitaria. Soluzioni nazionaliste, che vengono proposte come se fossero la panacea alle macerie prodotte, è importante continuare a ribadirlo, dalle disfunzioni strutturali, fisiologiche e periodiche del sistema economico capitalista.
Non esistono soluzioni nazionaliste buone per le classi subalterne. Esse sono figlie dell’interclassismo populista e social-fascista. Anche se spesso, con le loro sirene nazional-popolari incantano molte correnti stataliste della sinistra marxista. Questo succede specialmente quando il panorama sociale è caratterizzato dalla debolezza dei rapporti di forza delle classi sociali subalterne e c’è chi pensa di risolvere i problemi legati allo sfruttamento economico delegando lo Stato a prendere misure di tipo protezionistico. Ma l’uscita dall’euro, ad esempio, e la conseguente svalutazione monetaria nazionale, provocherebbe soltanto dei benefici momentanei e farebbe precipitare ben presto in una situazione di crisi economica in cui sarebbero sempre le classi economiche più deboli a pagare il prezzo più alto.
Non c’è una scorciatoia quindi: o cambiamo i rapporti di forza in nostro favore con la lotta e l’azione diretta nei territori e nei luoghi di lavoro, o rimarremo sempre preda delle mistificazioni e dell’inquinamento delle ideologie borghesi. 
Occorre quindi che l’insofferenza e lo sconforto individuale diventino, nei territori e nei luoghi di lavoro, rabbia collettiva e organizzazione di classe a prassi libertaria, con la capacità sociale di lottare per tutti i diritti primari, da quello dell’abitare, a quello dell’assistenza sanitaria, e la capacità politica di respingere qualsiasi sirena nazionalistica ed avanguardistica.  Nuove forme di rappresentanza non possono fondarsi che sulla ricostruzione delle organizzazioni di massa,  capaci di difendere  gli interessi immediati  dei lavoratori su base anticapitalistiche, nei posti di lavoro e nel territorio,  e di un movimento politico che  attinga dall’anarchismo di classe, organizzato e rivoluzionario, strumenti e contenuti per la difesa degli interessi storici delle classi subalterne, nella prospettiva di un cambiamento sociale comunista e libertario.
Tutto ciò significa seminare, li dove i nostri e le nostre militanti sono presenti, la pratica dell’autogestione e dell’azione diretta, e di propagandare con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione, il germe dell’autonomia di classe, cercando e facilitando la nascita di forme di resistenza, di autorganizzazione e autogestione economica e sociale. Come abbiamo già detto in altri nostri comunicati: “La democrazia diretta non si improvvisa ma si coltiva, non passa solo dai forum ma cresce nei posti di lavoro, ha bisogno della solidarietà, dell’autogestione, della memoria, della lotta di classe.”
Consiglio dei Delegati
Federazione dei Comunisti Anarchici

Reggio Emilia, 15 Dicembre 2013